Chapter 2

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EINE UNMOGLICHE LIEBE:

La serata proseguì tranquillamente, gente che andava e veniva, che si dirigeva da mio padre a congratularsi e così via. Una cosa però mi era rimasta in mente per tutta la serata: due occhi ghiaccio, taglienti, penetranti. Gli occhi del tenente Kotler. Dovevo stargli lontana, lo aveva detto Karl, e se lo aveva detto lui significava pericolo. Andai così dalla piccola Angelica che sicuramente si stava annoiando più di me. Mi dovetti ricredere: Angelica se ne stava con i nostri cugini, piccoli anch'essi, a giocare. "Fantastico" pensai. Benissimo: mamma e papà ballavano, Karl era chissà dove con i suoi amici, Angelica giocava con i cuginetti e io? Avrei tanto voluto ci fosse anche Lisa, ma anche suo padre come il mio era stato trasferito fuori città, anch'egli a Breiteanu, qualche settimana prima di papà. Ci saremmo quindi riviste martedì: non vedevo l'ora. Ad un certo punto la voce di un uomo mi distrasse dai miei pensieri.

-Come va la sua serata Emma?- Il tenente Kotler. Dovevo stargli lontano. Dovevo.

-Bene Herr Kotler. La sua?- proseguii.

-Potrebbe andare meglio, se lei mi concedesse l'onore di un ballo.- Non era un invito. Suonava più come un ordine. Non gliel'avrei data vinta.

-Mi spiace Herr Kotler, ma non sono in vena di danzare.- dissi decisa.

-D'accordo Frau Litz. Come desidera.- Detto questo si girò e se ne andò velocemente. Che diamine, non gli avevo detto chissà cosa, avevo semplicemente rifiutato a modo il suo invito.

La serata si concluse magnificamente, con un discorso di papà e un brindisi. Non vidi più il tenente Kotler per tutta la serata. Menomale.

Arrivò così il tanto atteso martedì: i due giorni consecutivi alla festa passarono velocemente con me e mamma come protagoniste per il tanto atteso trasferimento. Finalmente alle 14.00 io, mamma, papà e Angi lasciammo la nostra amatissima casa in città per una sperduta casa in campagna. Arrivati in stazione, prendemmo un treno che di lì a poche ore ci avrebbe portato nei pressi di Breitenau. Arrivati alla fermata, l'auto ci avrebbe portato a casa.

-Ragazze, ecco la nostra nuova casa!- Disse mia mamma entusiasta. Casa non era di certo il nome per chiamare quello che sembrava un grande magazzino dall'esterno. Aveva un giardino sul retro e davanti una fontana e degli alberi, con ovviamente una dozzina di soldati e tenenti che giravano in continuazione. Tra questi ne riconobbi due: Karl e il tenente Kotler. Il tenente Kotler. Oh no. Perché "oh no"? Non m'importava niente di lui. Giusto? Giusto, tranne quei meravigliosi occhi azzurri. Basta Emma, basta, non devi calcolarlo e andrà tutto bene.

-Herr Litz.- Salutò il tenente Kotler con il tipico gesto nazista, seguito da tutti coloro che erano fuori, tranne io, mia sorella e mia madre. Che cavolo? Anche mio fratello con quello stupido saluto? Che diamine è suo padre. Rido tra me e me pensando a me stessa salutare un qualsiasi parente con quel gesto. Di certo riderebbero tutti, compresa me. Sono abbastanza goffa. No, scherzo sono molto goffa.

-Ralph! Eccovi finalmente! Io Frau Huber e Lisa vi stavamo aspettando. Com'è stato il viaggio?- E anche lì il saluto nazista. Ma d'altronde che mi aspettavo? Sono figlia di un comandante nazista e l'uomo davanti a me è uno di loro.

-Lungo, ma piacevole, grazie.- rispose mio padre sorridendo. Una delle poche qualità di mio padre è il suo sorriso: mette di buon umore, cosa alquanto strana considerando il "meraviglioso" lavoro che fa. Non condivido il pensiero nazista, ma voglio un sacco di bene a mio padre.

Dopo essere scese dalla macchina, io e mia madre entrammo, mentre Angelica rimase fuori con Karl. Entrai in casa: l'ingresso fu accogliente, molto più di quanto mi fossi immaginata, con un bel tappeto e un orologio a pendolo enorme, a fianco ad un divanetto di pelle nero. A sinistra l'ufficio di mio padre e Herr Huber, dritto davanti a me la sala da pranzo, mentre a destra un lungo corridoio con varie stanze e per finire una enorme scalinata che portava sicuramente alle camere da letto.

-Non è bellissima?- Chiese mia madre. Stava scherzando? Voleva mettere a confronto questo magazzino fatto a casa, con la nostra abitazione a Berlino? Stava delirando sicuramente e evidentemente lo capì dalla mia espressione.

-Uh andiamo Emma, non sarà tanto male.- Proseguì.

-Speriamo.- Risposi. E lo speravo davvero.

-Christine! Emma!- Urlò una voce familiare. Lisa. Oh mio Dio Lisa! Non la vedevo solo da due settimane, ma mi era già mancata tantissimo.

-Lisa!- Gridai in risposta. -Mi sei mancata tanto!- Le dissi. Ci abbracciammo.

-Anche tu!- Mi rispose.

-Emma! Christine!- Altre due voci familiari. La mamma di Lisa e il fratello di Lisa. Gemma e Thomas. Mi erano mancati anche loro. Gemma mi aveva sempre trattata come sua seconda figlia, mentre Thomas era il mio migliore amico. Era sempre stato tanto dolce con me.

-Gemma!- La salutai. Passai a Thomas.

-Ciao Thomas!- Lo abbracciai. Quanto mi era mancato anche lui.

-Emma, che bello rivederti!- Mi diede un bacio sulla guancia. Arrossii. Reagivo sempre così quando qualcuno mi prestava delle emozioni.

-Come...- Qualcuno mi interruppe.

-Scusate se disturbo. Emma può cortesemente venire a dirmi quali sono i suoi bagagli? Suo padre mi ha detto di aiutarla a portarli di sopra.- Disse con un falso sorriso. Potrei dire di averlo visto lievemente arrabbiato. Perché mai dovrebbe essere arrabbiato?

-Si certo Herr Kotler.- Risposi acida. -Scusa Thomas, ci vediamo più tardi.- Gli dissi dolcemente. Lo seguii fuori.

-I miei bagagli sono questi tre, più quel baule verde.- Gli dissi velocemente.

-Certo Emma. Le faccio vedere la sua camera e l'aiuto a disfare le sue cose.- Mi rispose.

-Grazie Herr Kotler. Lei è troppo gentile.- Ironizzai.

-Grazie Emma.- Rispose.

-Herr Kotler, nessuno le ha detto di chiamarmi Emma. Io non la chiamo Micheal. Non voglio essere chiamata per nome da lei, in quanto non avremo mai alcun legame affettivo e solo coloro che ne hanno uno con me possono chiamarmi Emma.- Dissi acida. Mi spiace, ma è vero. Emma è solo per amici e parenti e non mi sembra che Micheal, cioè volevo dire il tenente Kotler sia tra questi.

-Mi scusi Frau Litz. Non volevo alterarla in alcun modo.- Enfatizzò. -Comunque lei può chiamarmi come vuole, Micheal, Herr Kotler o solo Kotler. Non che mi interessi il legame che abbiamo o che avremo.- Si fermò davanti una porta. -Benvenuta nella sua camera. Prego.- E mi fece passare.

-Grazie Herr Kotler.- Era una camera di modeste dimensioni, un enorme armadio, un letto normale, una finestra che dava sul bosco e una scrivania con una sedia. -Lasci pure qui Herr Kotler. Faccio da sola. La ringrazio per aver portato i miei bagagli fin qui.- Gli dissi.

-E' il mio lavoro Frau Litz.- Stava per uscire, ma si fermò. -Posso farle una domanda?- Mi chiese.

-Certo.- Gli risposi.

-Cosa pensa di me?- Che razza di domanda è? Lo conosco da pochi giorni e ho parlato pochissimo con lui. Non so cosa pensare al riguardo, ma so solo che Karl mi ha detto di non aspettarmi niente di speciale di lui e ciò vuol dire nel linguaggio di mio fratello: "stagli lontana".

-Herr Kotler, non lo so. Io la conosco da poco e non so che idea farmi di lei. Non potrebbe farmi questa domanda tra una pó di tempo?-Gli chiesi.

-Allora, tra una settimana le rifarò questa domanda e lei mi dovrà rispondere, okay?- Disse.

-Certo, affare fatto.- Ci stringemmo la mano come quando ci conoscemmo. Cosa sentii allora? Niente. E ora avevo sentito qualcosa? No. Si, avevo sentito qualcosa, nello stomaco. Ma cosa mi stava succedendo? Non conoscevo quest'uomo, e mi faceva paura pensare di conoscerlo.

-Bene allora, benvenuta a Breitenau.- Si congedò uscendo dalla mia stanza.

EINE UNMOGLICHE LIEBEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora