Capitolo VII

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Quello che più ricordava era il freddo pungente di quella mattina, tanto da ghiacciare l'acqua delle fontane di Piazza della Santissima Annunziata. Suor Paola le teneva la mano e le raccomandava continuamente di comportarsi bene con le persone che l'avrebbero accolta in casa loro. Fino a quel momento aveva vissuto all'interno dello Spedale, circondata da decine di altri bambini. Non era abituata a vivere in una casa vera. Ma in quasi dieci anni nessuno si era presentato per riprenderla, e così le monache l'avevano affidata a una nobile famiglia fiorentina dove, in cambio di vitto e alloggio, si sarebbe dovuta occupare dell'anziano padrone di casa, un conte, una delle persone più importanti di Firenze. La suora si era fermata davanti a un palazzo alto tre piani, con grandi pietre e grandi finestre. Si era avvicinata all'imponente portone d'ingresso e aveva sollevato il pesante batacchio di ferro.

In quel momento Stella avrebbe voluto scappare. Poi il portone si era aperto. Era stata Elvira la prima a riceverla. Sembrava un corvo: magra come uno stecco, vestita di nero, con il nasone aquilino, le labbra sottili e un grosso neo peloso sul mento. L'aveva squadrata dalla testa ai piedi con un ghigno schifato e si era messa a elencare tutti i compiti da svolgere in quella casa. Per fortuna era comparsa in soccorso Sara, la giovane cuoca: snella e sorridente, con dei bei capelli scuri raccolti in un fazzoletto, le era sembrata l'immagine più rassicurante di tutto il quadro. Poi era arrivata Vittorina che l'aveva accompagnata dal conte, conducendola attraverso l'enorme salone e su per la scalinata di marmo. «Vedi, ragazza mia, devi sapere che il padrone, anche se è ormai invalido e non rivolge più la parola a nessuno da mesi, è ancora una delle persone più importanti e temute di Firenze, quindi devi mostrargli sempre il massimo rispetto» le aveva spiegato. «In confidenza, con quel caratteraccio che si ritrova è stata una benedizione che abbia smesso di parlare» le aveva sussurrato poi in un orecchio.

Ed ecco il conte, disteso nel suo letto. Era anziano ma aveva l'aspetto di un uomo forte, e anche da sdraiato si capiva che era molto alto. Aveva i baffi e folte basette bianche e uno sguardo pieno di vita in contrasto con l'immobilità del suo corpo. Lui l'aveva fissata per un istante con un cipiglio severo, poi aveva volto di nuovo lo sguardo nel vuoto senza pronunciare una parola.

Il vitto e l'alloggio di Stella si erano dimostrati presto ben poca cosa rispetto alle possibilità finanziarie della famiglia: dormiva in una soffitta piena di cianfrusaglie e mangiava quasi sempre pane e formaggio. Per fortuna Sara le voleva bene e le allungava di nascosto qualche pietanza un po' più sostanziosa. Chi proprio non poteva tollerarla era Elvira. Quella donna terribile non vedeva l'ora che il ricco marito morisse, per avere per sé tutto il suo patrimonio. Nel frattempo, il suo unico divertimento era rendere impossibile la vita di tutti, soprattutto quella di Stella, umiliandola e trattandola come una pezza da piedi.

Stella non aveva potuto far altro che rassegnarsi a servire il conte come meglio poteva: portargli da mangiare e imboccarlo, lavarlo e tener pulita la sua stanza col divieto assoluto di scambiare mai una parola con lui. Ma non le era sfuggito il fatto che giorno dopo giorno lo sguardo del padrone si era fatto sempre meno severo, e ogni tanto aveva avuto l'impressione di intravedere un abbozzo di sorriso quando la vedeva arrivare. Forse aveva cominciato ad abituarsi alla sua presenza.

Finché un giorno il conte si era deciso a parlarle.

Prima erano state mezze frasi un po' scorbutiche, poi le frasi erano diventate intere, e alla fine si erano trasformate in veri e propri racconti. Di nascosto dalla contessa, a Stella piaceva molto ascoltare le avventure del padrone e lo incalzava a descrivere i luoghi lontani che lui aveva visitato e i personaggi importanti che aveva conosciuto. Lei da raccontare non aveva granché, e così per riempire il silenzio provava a cantare qualche melodia famosa. Tanto intonata, a dire il vero, non lo era, ma il conte sembrava sopportare volentieri quello strazio. Al conte la musica era sempre piaciuta e quella bambina lo faceva sentire ogni giorno un po' meglio.

Elvira aveva cominciato già a preoccuparsi per quel inaspettato rinvigorimento del marito, quando era successo qualcosa d'inspiegabile.

Era accaduto una mattina che non sembrava diversa da tante altre. Stella si era svegliata presto ed era scesa in cucina per preparare la colazione al conte. Mentre gli porgeva le fette di pane e marmellata lui le chiese di cantargli una canzone. Aveva cominciato a cantare mentre faceva i fatti. Poi aveva provato una strana sensazione. Si era sentita osservata. Osservata fin nel profondo della sua anima. Tornata in se si era voltata verso il conte e aveva visto che si era riaddormentato.

Il padrone avrebbe dormito per tutto il giorno. Non era la prima volta che capitava, e nessuno se n'era preoccupato. Ma la mattina seguente all'ora di colazione non si era ancora svegliato. Stella aveva chiamato Sara che a sua volta aveva avvertito Elvira: a mezzogiorno si erano ritrovate tutte attorno al suo letto.

«Per respirare respira, russa come un orso» aveva borbottato Elvira un po' delusa. «Vittorina, sveglialo!»

La domestica si era avvicinata con estrema cautela come se dovesse svegliare un leone.

«Signor conte? È mezzogiorno.»

Nessuna reazione.

«Signor conte!»

Niente da fare. Né pizzicotti, né schiaffi, né acqua fredda: il conte dormiva. E aveva continuato a dormire per giorni e poi per settimane.

Stella era molto preoccupata per lui. Non poteva farlo mangiare nel sonno ma riusciva almeno a farlo bere. Il conte non dormiva serenamente. Aveva il volto contratto e a volse si agitava come stesse facendo un incubo.

Elvira aveva convocato una sfilza di preti e di dottori costosi che seguitavano a farsi il segno della croce, a masticare diagnosi e latino guardando in alto e si perdevano poi distratti dai meravigliosi affreschi del soffitto. Nessuno aveva saputo trovare una spiegazione plausibile. Non sembrava ammalato. Semplicemente dormiva.

E così da quel momento a Firenze non si parlava d'altro, mentre la contessa ne approfittava per maltrattare la servitù senza più ritegno.

Stella lavorava tutti i giorni dalla mattina alla sera, sempre chiusa in casa: solo la domenica mattina aveva il permesso di uscire con Sara per andare alla messa nella basilica di Santa Croce. Stella, però, in quella mezza giornata faceva tutt'altro. Andava con Sara fino all'ingresso della chiesa e poi, dopo una breve preghiera nella quale spiegava a Dio i motivi della sua assenza, usciva per andare a zonzo. Attendeva quella passeggiata tutta la settimana: anche se per poco, assaporava la libertà; nessuno che la controllasse o le ordinasse cosa fare. Poteva scegliere la strada che voleva e ne sceglieva sempre una diversa, come se ogni quartiere fosse un nuovo mondo da esplorare. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 10, 2018 ⏰

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