Partenza a mezzanotte, da Curitiba, con pullman confortevole, acqua fresca a volontà, cuscino e coperta. Mi addormento quasi subito.
Alle sei del mattino siamo a São Paulo, alla Rodoviária Tietê, una stazione di autobus grande come un aeroporto, con due terminal e un centinaio di gate. Immaginatevi una fermata affollata nella periferia di una grande città italiana, moltiplicata per due o trecento volte.
Di qui si va a Lima, a Santiago, a Buenos Aires, tutto con pullman diretti; e la gente è quella che viaggia, come me; ma soprattutto è quella che si è alzata alle quattro del mattino per venire a lavorare a São Paulo: undici milioni di abitanti, una delle città più popolose al mondo.
Lungo la strada passiamo vicino a una prigione federale che, alle sette del mattino, ha già fuori una lunga coda di donne in attesa del colloquio. In autobus le cose si vedono così, come cartoline frettolose che non fai in tempo a mettere a fuoco perché sei già oltre. La città, con i suoi grattacieli e il suo traffico caotico, è sullo sfondo, ma il pullman percorre una tangenziale che in tre quarti d'ora mi porta all'aeroporto.
Cinque ore di attesa, e poi, dopo quasi tre ore di volo, Recife, che dall'alto è una città piena di grattacieli e campagne verdissime attorno.
– Qui piove spesso, sa? – dice il mio vicino. – Quest'anno, poi, ne è venuta giù tantissima.
«E qui la gente ti parla senza farsi problemi», penso guardando il signore di mezza età, dita gialle di nicotina e capelli ricci e neri, seduto vicino a me.
– È la prima volta in Brasile? – mi chiede.
– Sì, – rispondo – ma sono già stato quindici giorni a Curitiba.
– Stia attento, perché qui a Recife, oltre alla pioggia, ci sono gli squali, – dice una signora dall'altra parte del corridoio.
– È vero, ma basta non andare oltre alle barriere.
– Italiano, vero? – interviene una signora con figlia adolescente, e non aspetta la risposta.– Stia attento anche alla sera. Recife è la città brasiliana con la maggior percentuale di omicidi – dice con quello che mi sembra un pizzico di orgoglio.
Una volta atterrati è tutto uno scambiarsi di indirizzi e-mail e di foto abbracciati come fossimo vecchi amici. «Questo è il Brasile», penso.
Ringrazio per le dritte, e uscendo dall'aereo mi godo l'aria calda e umida di un pomeriggio di novembre, cioè di inizio estate.
La mia meta, Porto de Galinhas, è ancora distante settanta chilometri. Ci sono trentacinque gradi e mi affretto verso la fermata dell'autobus, il quale, secondo la guida della Lonely Planet, dovrebbe passare ogni quaranta minuti.
Infatti arriva dopo un'ora e mezza. È sabato sera, ed è pieno zeppo, ma per miracolo trovo posto a sedere. Il viaggio dura due ore e mezzo, con la gente che lotta per entrare e uscire a ogni fermata. Per fortuna c'è molta collaborazione, e quelli seduti prendono in braccio borse e valige di chi sta in piedi.
Per telefono avverto la pousada.
– Arriverò tardi. È lontana dalla fermata?
– Tranquillo, meno di cinquecento metri.
E cosi, una volta arrivato, diciannove ore dopo la partenza da Curitiba, mi carico i miei venti chili di bagaglio e percorro a piedi una distanza di almeno un chilometro. Da morire!
A cena mangio di fianco alla piazzetta, con un'orchestrina che suona il forró e i turisti che iniziano ad agitarsi credendo di ballare. Il mio vicino di tavolo ferma al volo una bella ragazza e, dopo aver bevuto insieme una birra, i due escono tenendosi per mano.
Ti odio già, Porto de Galinhas.
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Ah, viaggiare...
General FictionRacconti di viaggio. Storie vere e storie inventate. Storie vissute in prima persona o raccolte per strada, e sopratutto, storie di incontri.