Mi sento chiamare da dietro.
- Paolo, vieni a sederti!
È Claudia. E chi poteva essere? Qui a Porto conosco solo lei, e ne farei anche a meno. Bahiana, pelle scura, bruttina, ma un gran bel corpo esibito generosamente. Un passato da badante in Italia, è tornata qui una volta scaduto il permesso di soggiorno, e ora si occupa di turismo. Cioè di sesso per turisti.
Di conseguenza anch'io sono spesso oggetto di attenzione da parte della categoria, e suo in particolare.
Mi siedo salutandola, senza però guardarla più di tanto, perché al suo fianco c'è una ragazzina con la pelle color cappuccino, la bocca grande che si affaccia su un sorriso bianchissimo, e soprattutto quegli occhi, neri e vivi, che mi guardano interessati, penetrandomi dentro come fossero spilli infuocati. Ma guarderà tutti così?
Lei è Elaine, ma, impegnato come sono a studiarla, il nome mi esce dalla testa appena entrato.
Piccola, ma piccola davvero, minuta, sembra una ragazzina, ma ha ventitré anni, dice, e una figlia di due.
- Una figlia, tu? Ma se sei tu a essere ancora una menina!(1)
La guardo di nascosto mentre faccio finta di ascoltare Claudia, che parla in continuazione.
La menina - ormai la chiamo così - ha un vestito a fiorellini, lungo e un po' informe, e l'unico elemento di attrazione femminile è dato dalle spalle nude, lisce e abbronzate, e questo suo abbigliamento, in un mondo di bellezze esibite, la distingue ancora di più e mette in evidenza quel viso di porcellana fine.
Parla un portoghese difficile, per me: si mangia le parole, e capisco metà di quello che dice, ma va bene lo stesso.
Appena Claudia si allontana, la menina dice:
- Andiamo da te, dove abiti?
Non lo chiede, lo dice, come chi mi ha già letto dentro, e dà la cosa per certa, ineluttabile. Si alza e mi accorgo di quanto è piccola; e decisa, anche! perché il gioco lo conduce lei.
Qui in Brasile mi sento sempre in difficoltà, a spiegare che non sono in cerca di sesso a pagamento: non mi interessa. E allora, per sfuggirne senza dover dare troppe spiegazioni, in genere invento; invento che sono stanco per il viaggio, o che ho già una fidanzata che mi aspetta, o che...
- Se sei stanco andiamo da te e ti faccio un massaggio.
- No, guarda, - le dico ridendo, - lo so già come vanno a finire i tuoi massaggi! Facciamo così: io stavo andando a cena, vieni con me, così facciamo amicizia, e poi magari andiamo in quella discoteca, come si chiama? La Santeria, dove non sono mai stato, ok?
Viene, e a cena mi racconta la sua vita. Sembra incredibile come delle volte sia possibile condensare una vita in poche parole e in poche cose, mentre tutto il resto è come se fosse svanito, vissuto inutilmente, e migliaia di cose che ci hanno fatto felici o che ci hanno fatto soffrire non meritano più neanche un cenno.
Quello che resta della sua storia è un padre che quando lei aveva otto anni non è più tornato a casa, una vita tirata per i denti e poi il lavoro in un chiosco sul porto. Lei e un'altra ragazza, a lavorare sino a quattordici ore al giorno, alternandosi dalle sei del mattino alle due del mattino dopo, per poi tornare a casa a piedi a quell'ora, tre chilometri, lungo la spiaggia.
- Dopo aver avuto la mia bimba ho capito che non potevo andare avanti in questo modo, - conclude, - e così ora sto con i turisti. Non è male. Anzi, a me piace, perché mi piace l'amore. E a te?
Evito di rispondere alla domanda insidiosa, ma lei mi guarda in quel suo modo, con uno sguardo un po' innocente e un po' ammiccante, e non so perché, ma non riesco a non allungarle una carezza sul braccio, dall'altra parte del tavolo.
La mano la sfiora, e scendendo lungo il braccio si impiglia nella sua, e ne è subito afferrata. Mangio il resto del pesce con una mano sola, mentre la destra non riesce a staccarsi da lì, da quell'appendice prensile dei suoi occhi, dalle sue carezze.
Un'attrazione fatale, quelle dita che giocano girando intorno alle mie, prima sfiorandole appena, e poi diventando sempre più audaci e appassionate.
E ora come faccio a convincerla che ho una fidanzata che arriva da un momento all'altro? Come faccio a fingere disinteresse, quando il desiderio è tutto lì, in quelle mani che si cercano? Un desiderio grande e visibile, come un'erezione improvvisa e imbarazzante che non si può nascondere.
Tento l'ultimo alibi, questa volta vero, che in genere è decisivo:
- Guarda che non ho soldi, stasera, perché sono passato al bancomat, ma non funzionava.
- Non importa, mi fido di te. Me li darai domani, - e dice quel «mi fido di te» guardandomi dal basso, fisso negli occhi, come una bambina che si affida totalmente a qualcuno.
Al diavolo la discoteca, la fidanzata fantasma... al diavolo tutto: andiamo a casa!
E mentre lei finisce di mangiare il dolce («Non mangio da ieri», dice) le guardo il viso chiedendomi che cavolo faccio, dicendomi che potrebbe essere mia figlia; ma lei mi rassicura con un sorriso.
A casa si sfila il vestito, e sotto è nuda, e di colpo la bambina, la ragazzina dal viso minuto e dolce, scompare.
Dopo, mi si accoccola vicino.
- Posso dormire qui, stanotte? Non ho dove andare, a quest'ora. Abito da mia zia, ma da quando ha scoperto cosa faccio mi ha detto che non mi vuole più a casa.
Si piazza in un angolino del letto. Così piccola, dorme praticamente sul cuscino, rannicchiata come chi è abituato a non farsi notare, e non si muove più per tutta la notte.
Aspetto di sentire il suo respiro diventare pesante per guardarla più a lungo, alla ricerca di dettagli da salvare in memoria: il grande tatuaggio sulla schiena, le vertebre sporgenti, le orecchie piccole e attaccate, i capelli sottili, la bocca socchiusa, e solo a notte fonda riesco a dimenticare il suo corpo vicino al mio, e ad addormentarmi.
Ma al mattino, quando sono ancora io a svegliarla, riprendendo a cercare le sue mani e il calore della sua pelle bruna, mi accorgo del cuscino bagnato e delle tracce delle lacrime sulle guance.
- Non è niente, - dice, - faccio brutti sogni. Però dobbiamo andare a prendere i soldi, perché forse ho trovato una casa, e voglio portargli subito la caparra.
Ma un attimo dopo, uscendo dal bagno, la trovo scossa da un pianto sottile, compresso.
- Scusa, è perché se non trovo subito una casa dove stare non posso portare mia figlia con me.
Al bancomat, mezz'ora dopo, lei non chiede niente, ma io le lascio una bella mancia e la promessa di un appuntamento per quella sera, a cena.
Ci penso su tutto il giorno, e decido che stasera, senza chiederle niente in cambio, le lascerò il denaro che le manca per il primo affitto.
La sera alle otto e trenta sono lì, dove ci siamo conosciuti il giorno prima, guardo in mezzo alla gente per scorgere prima possibile la sua figura minuta, mi siedo a un tavolino e bevo qualcosa per darmi un contegno, e dopo due ore e tre caipirinha decido di andare a mangiare da solo, finché ce la faccio ancora ad alzarmi.
All'uscita dal ristorante, dopo una serata passata a scrutare tra la gente che passa vicina, incontro Claudia.
- Stavo cercando la Menina, cioè, come si chiama...
- Elaine? Guarda che ieri siete spariti e non ho potuto avvertirti, ma stai attento che quella non è una a posto. Comunque, l'ho appena vista vicino alla Santeria che comprava due dosi di crack, per lei e il suo ragazzo. Tutti i soldi che ha, li fa sempre fuori così, lei.
Crack!
Non sono neanche sicuro di come si scriva, ma quel suono - crack! - è esattamente quello che sento dentro.
(1) Menina: letteralmente "bambina" ma abitualmente usato per un indicare una ragazza molto giovane.
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Ah, viaggiare...
Aktuelle LiteraturRacconti di viaggio. Storie vere e storie inventate. Storie vissute in prima persona o raccolte per strada, e sopratutto, storie di incontri.