Capitolo 3: Io, me stessa me, sorellona

17 0 0
                                    

Nel giro di dieci anni, sono diventata sorella maggiore per due volte.

Della gravidanza di Giulia ho pochi ricordi, ero troppo piccola. Alcune foto però, mi fanno tornare in mente solo bei momenti strategicamente immortalati da mio padre: un modo efficace per costruire ricordi gioiosi di un periodo altrimenti plumbeo.

Non ricordo nemmeno la tattica usata dai miei per farmi metabolizzare la notizia che il nostro magico trio sarebbe presto diventato un quartetto; ma ripensandoci e conoscendomi, credo che non abbiano dovuto adottare particolari tecniche persuasive. Sono sempre stata una bambina curiosa, sensibile e con la testa tra le nuvole, ma anche una che non andava in cerca di problemi e che usava il sorriso come risposta a qualsiasi cosa, pure agli spintoni degli altri bambini all'asilo.

Che bambina stupida.

Credo mi dissero semplicemente che presto sarebbe arrivata Giulia nella nostra casa e che sarebbe stato davvero bellissimo; ma la storia della cicogna non me la bevvi, nemmeno Dumbo riuscì a convincermi. Da perfetta donna di scienza mi ero documentata.

Così il 19 Marzo del 1995 conobbi Giulia, una bambolina rosa biondissima per la quale tutti stravedevano; ma non ero gelosa perché tanto era mia e mamma me lo aveva giurato.

Gli anni che trascorremmo insieme furono pieni di nuove scoperte, ferite di guerra, accampamenti degli indiani e mille altre storie; ma di questo parlerò più avanti.

La seconda volta che divenni sorella maggiore fu il 18 Novembre del 2002. A quei tempi avevo dieci anni e la mia memoria era molto sviluppata, ma una sola espressione riesce ad avvicinarsi alla descrizione più realistica di quel periodo: nove mesi di tortura

Io riesco a ricordare solo questo.

Anzi, ricordo alcuni momenti felici di trepidante attesa ed eccitazione; ma sono offuscati da cinque mesi di spola con bacinelle piene di vomito tra divano-lavanderia, lavanderia-divano. Conoscevo il tragitto a menadito, potevo farlo ad occhi chiusi. Avevo memorizzato la posizione esatta di ogni stipite, il tempo che la porta della sala impiegava a richiudersi a causa della pendenza delle cerniere, persino la precisa ubicazione della mattonella cava (seconda dal primo gradino, terza dallo stipite della porta del salotto) che ogni volta in cui la pestavo con il tallone mia madre rizzava le orecchie e chiedeva: "Che cos'è stato? Ti sei fatta male?"

"Tranquilla mamma, tutto a posto, è la mattonella" rispondevo con spensieratezza, ma in realtà pensavo: accidenti mamma, è sempre la stessa mattonella, lo sai che fa rumore quando la pesto...piuttosto pensa alla tortura di tutte queste bacinelle che riempi di vomito puzzolente e che Giulia non si azzarda a svuotare...

Essere la maggiore comporta anche questo: i lavori puzzolenti spettano a te.

Non importa quanto ti opponi e nemmeno quanto le tue argomentazioni siano valide: se sei la più grande tocca a te. Punto.

Non puoi nemmeno avvalerti della carta "Dito-Rotto-Durante-Karate" perchè, tanto: "Non ti servono tutte e dieci le dita per spostare una bacinella" (cit. sorellina di mezzo, alias Giulia).

Tutti aspettavamo l'arrivo di Rebecca con ansia e da parte mia non sapevo se l'ansia fosse dettata dalla voglia di conoscere la piccola pulce o dal fatto che con il suo arrivo sarebbe anche finalmente cessata la tortura cinese dell'assistenza vomitosa a mia madre.

Che gran cuore mia madre, ha passato tre gravidanze terribili, ma nonostante tutto era felice. Un giorno mi disse che per qualche oscura ragione più lei stava male, più la gravidanza stava andando bene. Una sorta di scambio equivalente alla Full Metal Alchemist.

Ripensare oggi a quell'affermazione mi mette i brividi.

Ricordo il giorno della nascita di Rebecca perfettamente: io e Giulia eravamo a casa dei nonni paterni ed una volta messe a letto passammo venti minuti a parlare di quanto sarebbe stato bello avere una sorellina più piccola, a quanto ci saremo divertite con lei e alle cose che le avremo insegnato come arrampicarsi sui mobili per raggiungere i cioccolatini di papà o a scalare la vetta del secondo piano di casa. Eravamo troppo eccitate per dormire.

Poi lo squillo del telefono, uno solo perché nonna ebbe una tale prontezza di riflessi che quasi mi sconvolse. Dalla camera sentii nonna sussurrare un flebile "Pronto?", ma io avevo già capito: Rebecca era nata.

Lanciai le coperte da un lato, balzai giù dal letto infilandomi dritta nei pantaloni che avevo appositamente preparato sulla sedia accanto ed arrivai davanti alla porta d'ingresso con la maglia del pigiama, il gubbino al rovescio e le scarpe slacciate: ero  pronta per salire in auto.

Giulia invece stava ancora saltando sul letto con nonna che la inseguiva per farla vestire.

Che dilettante.

Una volta arrivati in ospedale, trascinai tutti quanti al reparto perché ormai conoscevo lo stabile a memoria (un po' per le svariate visite di controllo di mia madre, un po' per i settimanali appuntamenti che avevo con il pronto soccorso a causa del mio temperamento timido e riservato...). Entrammo nella camera di mamma e vidi che tra le braccia teneva un fagotto rosa e tutti erano sorridenti; mi avvicinai e vidi Rebecca per la prima volta: era una bestiolina tutta capelli neri e con la faccia rossa come un peperone.

Rimasi un tantino scioccata, come poteva essere mia sorella un animaletto dalla pelle rossa e rugosa? Più che una bambina sembrava una barbabietola.

Mi guardai un attimo attorno, ma erano tutti sereni, nonna quasi piangeva dalla gioia, papà teneva la mano di mamma e Giulia allungava già le braccia per poter tenere Rebecca in braccio. Contemplai il quadretto dall'alto del mio incarico e sospirai, il mio compito era appena cominciato e da quel giorno sarebbe stato il doppio più difficoltoso. Con quella consapevolezza mi feci su le maniche, guardai Giulia che tentava di tenere in braccio Rebecca e le feci segno di passarmela: se dovevo fare la sorella maggiore l'avrei fatto per bene e non avrei certo lasciato che Giulia facesse cadere la piccola pulce il primo giorno della sua lunga esistenza. Appena Rebecca fu tra le mie braccia, nonostante quello strano colorito e l'espressione accigliata, capii che anche per lei avrei fatto qualsiasi cosa pur di saperla felice e al sicuro.

Ci scambiammo uno strano primo sguardo carico di apprensione, curiosità, paura e qualcosa di simile allo stupore. Mi ero già documentata sul come mamma era stata capace di far nascere un cucciolo di essere umano, la storia dell'ape e del fiore non me l'ero mai bevuta anche perché c'erano molti problemi di base che confutavano la tesi del fiorellino; ma comunque ero un tantino confusa riguardo la modalità in cui il fagottino che tenevo tra le braccia fosse passato dalla pancia di mamma alla culla. Ci avrei ragionato poco tempo più tardi.

Rebecca strizzava gli occhietti scuri e dopo quello strano primo sguardo, mi guardò una seconda volta. Le feci un sorriso sghembo, ricordai che una volta mamma mi disse: "Se sorridi ai bambini vedrai che ti sorrideranno a loro volta" così provai. Avevo letto su uno dei libri della biblioteca che quando si è piccoli gli occhi ancora non vedono bene, ma volli tentare lo stesso.

Ciò che ricevetti in risposta non era esattamente un sorriso, ma quella strana smorfietta senza denti mi bastò ed in quel momento constatai che il mio compito sarebbe stato arduo anche se ancora non sapevo quanto.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 06, 2018 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Manuale per Sorelle Maggiori: crescere con fratelli minori e sopravvivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora