5. Siamo oggetti di scena di un mondo malandato

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Arrivai al binario dove sarebbe arrivato il treno del Dott. Salemi, alle 17 in punto. Giunsi nei pressi della stazione con una decina di minuti di anticipo, mentre il treno portava dieci minuti di ritardo, nulla di strano per le nostre ferrovie. Dovevo essere puntuale a quell'appuntamento. Non era una questione di riverenza, mi sentivo, più che altro, in dovere di rispettare il rispetto che la mia famiglia aveva nei confronti di quell'uomo. In passato era stato abbastanza disponibile nel sostenere le iniziative dei miei genitori, anche se, da buon politico, di sicuro aspettava il momento del suo tornaconto. Non ero al massimo della forma, la mattinata era stata molto intensa. A quell'ora, di sicuro, Maria era in procinto di aprire il negozio, mentre Elena la immaginavo a sguazzare tra la prova di un capo di abbigliamento ed un altro. Io, invece, mi sedetti ad aspettare su una panchina, tra un distributore di bibite ed un pilastro, al centro del marciapiede. Era parzialmente ombreggiata e, oltre a me, vi sedeva una signora dall'aria stanca, occhiali Guess a nascondere completamente gli occhi, capelli raggruppati a coda di cavallo, tipica acconciatura delle donne che non hanno molto tempo per lavare spesso i capelli, camicetta di raso a coste bianche e blu notte, gonna grigio antracite all'altezza del ginocchio. La mia impressione è che avesse intorno ai quarantacinque anni, ma di sicuro mi sbagliavo. Le donne di città, di solito ben curate e attente ai dettagli, riescono spesso a nascondere bene qualche anno, avrebbe potuto averne tranquillamente cinquanta o poco più. Alla destra delle sue gambe accavallate vi erano delle buste di cartone della Pull&Bear ed H&M, probabilmente aveva fatto un po' di shopping all'uscita dall'ufficio. Aveva lo sguardo fisso sul telefono e di tanto in tanto scriveva qualche messaggio. Vide che la osservavo, ma non fece nessun tipo di espressione, evidentemente era molto abituata allo sguardo degli uomini. La sentii rispondere al telefono e dire che, sarebbe passata lei a prendere il latte ed il pane, mentre, lo speaker annunciava l'imminente arrivo del treno che stavo aspettando al binario 3.

Il treno si fermò fischiando. La gente che scendeva e saliva dal treno era come l'acqua di un estuario che si riversa in mare. Il Dott. Salemi, in mezzo a tutta quella calca, mantenne la sua compostezza inalterata. Era alto, quanto basta, per definirlo statuario, indossava un completo blu con un leggero righino grigio perla, solita camicia bianca e cravatta grigio scuro a righini trasversali bianchi. Non era una giornata adatta ad per indossare la giacca, ma la formalità non prevede stagioni, e proprio per questo, per molte persone diventa un modo di essere. Al seguito, c'era la sua storica segretaria, fino a quel momento conoscevo solo il suo nome e la sua voce. L'avevo sentita telefonicamente in occasione di una conferenza presieduta dal suo capo, avevo dato la mia disponibilità a redigere il testo e lui aveva detto di interfacciarmi con lei per i dettagli. Si chiamava Rita, ed anche se l'uno conosceva il nome dell'altro, nel rispetto della formalità, ci stringemmo la mano e ci presentammo. La sua pelle era molto scura, evidente segno che l'abbronzatura da spiaggia fosse stata rinforzata da quella delle lampade del solarium. La camicetta a fiori aveva i primi due bottoni slacciati, e lasciava intravedere la scollatura del suo bel prosperoso seno, decorata da un massiccio collier d'oro in cui erano incastonate delle pietre di scarso valore. Aveva qualche anno in più della signora sulla panchina, ma si difendeva bene anche lei. Il loro appuntamento a Montecitorio col parlamentare era alle diciotto, io meritavo l'attenzione del tempo della tratta. Ci fermammo qualche minuto a prendere un caffè in Piazza della Repubblica, e seduti ai tavolini del Bar mi comunicò la sua volontà di candidarmi alle imminenti elezioni comunali nel nostro paese di origine. Era stato vice sindaco per quasi due legislature, e si era dimesso dall'incarico, più o meno, un anno prima del nostro incontro. Ufficialmente lo aveva fatto per delle incomprensioni interne alla maggioranza, ma lo sapevano tutti che la sua intenzione era quella di candidarsi come sindaco, e dato che, nel suo gruppo, non gli sarebbe stata concessa questa possibilità, aveva deciso di rompere col passato in largo anticipo. Il tempo necessario affinché gli elettori dimenticassero i dettagli dell'accaduto. In politica è molto importante lasciar scorrere il tempo, tanto quanto non rispondere alle provocazioni e lasciar che sia il tempo a sotterrarle. Profuse parole entusiasmanti nei miei confronti, mi stava adulando, e per quanto ne fossi consapevole rimasi comunque in balia delle sue parole per diversi minuti, fino a quando, la mia attenzione non fu catturata dalla scollatura di Rita. Il movimento di piegarsi verso la borsa ai piedi del tavolino aveva evidenziato ancor di più la scollatura, e quasi le tette venivano ribaltate fuori. Non era una donna rientrante nel panorama di quelle scopabili, ma quel leggero pensiero che aveva sfiorato la mia mente, mi stava tirando fuori dai casini. Il tempo era passato velocemente, e non avevamo avuto modo dirci tutto su quella possibilità. Li salutai con una stretta di mano e rimandammo il discorso ad un altro appuntamento, nel weekend successivo, al nostro paesello.

Non erano ancora le diciotto, e avevo il resto della giornata libera. Avrei dovuto chiamare Elena ma non mi venne spontaneo e non lo feci. Il mio rapporto con Elena viveva un periodo di stanchezza emotiva, eravamo giunti a quella fase in cui l'uno aveva idealizzato l'altro, e stare insieme non era più una questione di attrazione piuttosto era voglia di voler rivivere emozioni di un passato che, ormai, non c'era più.  Noi esseri umani viviamo i rapporti senza la consapevolezza delle loro caratteristiche, purtroppo non ci è concesso fare un corso prima di venire a questo mondo, e spesso ci abituiamo talmente tanto ai loro difetti che diventano per noi la perfezione. Realizzare che non esistono più i presupposti sentimentali per tenere in piedi un rapporto non è semplice, in primis ci sentiamo in colpa per il tempo dedicato ad esso, come se, avessimo potuto vivere quello stato d'animo senza passare attraverso un legame intenso e stabile, ed io mi resi conto che, più intenso è il legame e più l'altra persona viene idealizzata nei nostri desideri, fino a provare sentimenti di possesso più che di amore. In ogni persona che frequentiamo fuori da quel rapporto cerchiamo quelle caratteristiche, e purtroppo, anche se sappiamo che questo è impossibile, lo continuiamo a fare. La noia può uccidere un rapporto, ma non riesce ad uccidere l'idea che di quel rapporto ci siamo fatti, per questo lo trasciniamo avanti. Alcuni riescono col tempo a rendersene conto e prendono un'altra strada, i meno fortunati ci convivono per la vita. Il mio problema era che, Elena esteticamente era un capolavoro, alta poco più del metro e settanta, gambe snelle e caviglie sottili poggiate su un piedino taglia 36. Fianchi né troppo larghi né troppo stretti, proporzionati al prosperoso seno taglia quarta ed al culetto tondo e sodo. L'avevo conosciuta con i capelli corti, quasi rasati. Aveva solo un ciuffo, di color rosso fiammante, che le partiva dalla frangia e le accarezzava la guancia sinistra. Le sue labbra erano sottili e molto chiare, i suoi occhi castani contorniati da ciglia non curate, che sarebbero state un disastro su qualsiasi viso, tranne sul suo. Una donna se è bella coi capelli corti, allora, lo sarà sempre, in qualsiasi condizione. Elena esaltava il mio ego sociale. Decisi di mandare un messaggio a Maria.

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