3. La luna a mezzogiorno

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La notte fatica a dileguarsi per le anime corrotte dal desiderio. Arrivano a quel momento in cui l'oscurità si fonde con la luce del nuovo giorno, ed i pregiudizi iniziano a sopraffare le trasgressioni, a volte dormendo, a volte svegli ma sempre in una dimensione temporale diversa dagli altri. Il tempo non scorre in modo uguale per tutti, per queste anime va un pò più veloce e, se si incontrano faticano a non riconoscersi. Che io fossi una di loro l'avrei scoperto di lì a poco.
Avevo preso il treno dopo i miei soliti rituali mattutini. Appena sveglio bevevo tre o quattro bicchieri di acqua, poi mangiavo uno yogurt mentre davo un occhiata al tg del mattino che presentava la rassegna stampa, poi un toast, del tè e per finire un caffè. Come ogni mattina, la sigaretta era l'anello di congiunzione tra la cucina ed il bagno, dove poi, mi lavavo, per bene, le parti intime e, se occorreva, davo una depilata con le lamette. All'epoca mi piaceva radere il pube, mi dava un senso di peccaminosa innocenza che, teneva il mio spirito in costante eccitazione. Poi, faccia e denti, un pò di crema sul corpo, soprattutto sulle parti depilate, e via fuori di casa.
Sul treno avevo scelto il posto vicino al finestrino, era un intercity. Le cabine erano composte da sei posti ma, spesso erano mezze vuote, soprattutto nelle mattinate infrasettimanali. Misi le cuffie del lettore mp3 alle orecchie ed avviai la playlist preparata la sera precedente, appena rientrato a casa, dopo le scosse di adrenalina e orgasmi vissuti con Maria. Avevo caricato "Machina" degli Smashing Pumpkins, "Ten" dei Pearl Jam, "Smash" degli Offspring e "Dookie" dei Green Day, insomma, avevo voglia di grunge e punk anni '90. Guardavo fuori dal finestrino, non tanto per godermi il paesaggio, quello lo conoscevo quasi a memoria, dato che, facevo lo stesso tragitto ogni due settimane, piuttosto per visualizzare la mia freccia del tempo immaginaria che solcava il terreno, era come essere nel presente con la possibilità di visualizzare frammenti di passato e di futuro contemporaneamente. I ricordi si mischiavano alla prospettiva, ed io ero lì, in quel preciso momento ed in quello successivo. Era una prova tangibile che esistevo, al di là di chi fossi nella vita, al di là di quei ruoli che ti impongono di vivere, facendoti allontanare dalla tua unicità. Intervallavo queste mie riflessioni esistenzialistiche con qualche pagina del "Dottor Zivago" e forse la frase di Pasternak, "l'appartenenza a un tipo è la morte dell'uomo", aveva incentivato i miei pensieri. La mente è un posto fantastico se arredata con le giuste idee ma, per farlo, deve essere una casa con porte e finestre aperte.
Scesi dal treno alla stazione Termini e andai dritto in libreria. Era una tappa che facevo spesso, anche quando non avevo intenzione di comprare libri. Era la mia camera iperbarica prima di tuffarmi nel caos della città. Quella mattina, al reparto narrativa, mentre leggevo la quarta di copertina del capolavoro "Infinite jest" di D.F. Wallace, fui distratto o, per meglio dire attratto, da una presenza femminile che, potrei definire aliena, per la rarità con la quale si avvistano persone del genere. Aveva i capelli tagliati a caschetto, disordinati, come se fosse uscita dal letto in quel momento. Erano composti da varie sfumature di castano, forse erano stati violentati con vari passaggi di tinture di scarsa qualità, e tra questi spiccava un ciuffetto fucsia. Un viso rotondo, a forma di mela golden, con degli occhioni che sembravano estratti dai dipinti di Margaret Keane. Il trucco, sugli occhi e sulle labbra, non era ben definito, come se si fosse truccata in treno oppure se si fosse svegliata già così. Calzava converse, scolorite da vari passaggi in lavatrice, senza calzini. Indossava una minigonna di jeans, senza calze e aveva un giubbetto di simil pelle molto slim ma, soprattutto, sotto il giubbetto indossava una maglietta a rete, senza reggiseno. I capezzoli fuoriuscivano turgidi dalle maglie. Il mio sguardò non potè fare a meno di finire proprio lì, lei mi guardò con aria di accusa di depravazione ma, non disse nulla continuò a girare indifferente tra gli scaffali. Iniziai a seguirla, facendo finta di leggere i titoli dei libri che mi capitavano a tiro quando lei si voltava verso di me. Non ebbi il coraggio di parlarle e dopo qualche minuto si avviò verso l'uscita, feci anch'io lo stesso, lei andò in direzione dei binari, io all'uscita che volge sul piazzale degli autobus. Mi fermai sul ciglio della porta, presi una Chesterfield Blue dal pacchetto, l'accesi e feci un primo tiro profondo e, mentre una densa nuvola di fumo si librava sopra la mia testa, iniziai a muovere passi verso la fermata dell'autobus.
- Scusa, Scusa,- sentii dire alle mie spalle. Mi voltai, era lei, veniva verso di me con passo veloce, tirandosi sulla spalla la cinta della borsa, che per il movimenti accelerati del suo corpo, faticava a restarci aggrappata. La guardai, fermo e immobile.
- Posso conoscere un bel ragazzo come te?,- disse un pò affannata e guardandomi con occhi che non erano più di accusa ma lucidi di desiderio.
- Certo che puoi, piacere Andrea- le dissi, sforzandomi di avere un'aria sicura, di fronte ad una situazione del tutto inaspettata. Come quella che una persona può vivere vincendo all'ultimo numero di una serie di un gratta e vincere.
- Ti ho visto prima in libreria, sei molto carino ed elegante, ed ho pensato di seguirti, spero non ti dia fastidio, mi chiamo Lara- disse, scrutando il mio corpo e poi guardandomi fisso negli occhi.
- No, anzi. Vuoi fare due passi con me?, - le chiesi, giusto per capire se quella conoscenza fosse destinata a durare più di qualche minuto.
- Dovrei partire per Napoli, ma si, voglio fare un giro con te, tanto parte un treno ogni ora, - disse, col viso eccitato dalla situazione che si era appena conquistata.
- A parte il fatto che mi reputi carino, come mai ti sei spinta a conoscermi?,- le chiesi, cercando di capire dove poteva portare quella conoscenza.
- Beh, ho notato che mi fissavi ed ho pensato che ci poteva essere intesa,- disse, allargando leggermente il suo giubbetto in simil pelle. La sua pelle era tutta sudata, i 30 gradi di fine estate contrastavano con quell'indumento ma, scatenarono in me una certa dose di eccitazione.
Riprendemmo a camminare e lei mise una mano sui miei fianchi, poi la lasciò scivolare nella tasca del pantalone. La strinsi anche io sul fianco e poi lasciai andare la mano sul suo culetto, piccoletto ma, tondo e sodo, una consistenza che diede una botta di adrenalina alla mia asta. All'inizio lo toccai come per fare una carezza, un attimo dopo ero già a palparlo con decisione.
Lara rallentò l'andatura fino a fermarsi, avvicinò le sue labbra alle mie orecchie. - So no senza mutandine,- disse, in modo provocatorio, praticamente sussurrandolo.
-Non ci credo,- le dissi, per provocare una qualche sua reazione.
- Tocca e vedrai,- disse, con aria da troietta navigata.
Eravamo sul marciapiede di Viale Castro Pretorio, il sole era cocente e ci eravamo fermati all'ombra di un....e tra i passanti indifferenti infilai la mano sotto la gonna, non solo era senza mutande ma, era così bagnata che le mie dita scivolarono all'ingresso della sua fica senza che io volessi. Lara, si strinse a me per sentire la mia eccitazione, e dopo uno sguardo durato meno di un attimo, le nostre lingue iniziarono ad incrociarsi con foga, come se volessimo arrivare a pomiciare la gola.
- Cerchiamo un posto più tranquillo,- le dissi, con leggero affanno mentre davo una sistemata alla scomposta erezione nei pantaloni. Le misi la mano sul culo ed iniziammo a camminare, frenetici, alla ricerca di un angolo di intimità per dare sfogo alla nostra pulsione sessuale e di tanto in tanto sostavamo a slinguazzare e palpare quanto più si potesse.
- Possibile che, è così difficile trovare un posto per fare un pompino ad un ragazzo che ti piace?- disse, quasi impaziente della situazione. Purtroppo, non potevo portarla a casa, tra inquilini e amiche di Elena che abitavano nelle vicinanze, era troppo rischioso. Facemmo il giro del quartiere, ci ritrovammo di nuovo davanti alla stazione, provammo a vedere se i bagni fossero liberi ma, nulla da fare, riprendemmo il nostro cammino. Avevo la mano nella sua gonnellina, un dito tra le sue chiappe umide di sudore e lei si stringeva forte a me. Voleva congiungersi in qualche modo, voleva sentire il mio sapore.
Il pensiero di attraversare la città, per andare in un parco che fosse poco affollato a quell'ora, sembrava essere l'unico realisticamente valido, quando vidi un sottopassaggio pedonale dismesso.
- Andiamo li sotto, non ci vedrà nessuno, a quest'ora i barboni sono in giro per la città a cercare l'elemosina,- le dissi, afferrandola per la mano e trascinandola con me al buio di quel posto umido e maleodorante, ma pur sempre il migliore possibile in quella situazione.
Nemmeno il tempo di finire le scale che già mi aveva sbottonato i pantaloni, ormai era lei a trascinarmi, per i boxer. Lara scese due gradini più in basso di me, la sua testa era quasi ad altezza del mio cazzo, dovette solo piegare leggermente il collo per farlo scivolare, completamente nella sua bocca. L'estasi che mi procurò quel suo leccare e succhiare, fatto con passione e professionalità, mi fece alzare la testa all'insù. Sotto quel soffitto di cemento armato c'erano graffiti amatoriali, fatti con la punta della fiamma di un accendino, da coppiette di adolescenti innamorati e altri, credo, fatti da gruppi di ragazzi scesi lì sotto per fumare una canna, quasi certamente anarchici. I ricordi di questo aspetto sono molto sfumati nel mio immaginario, perchè due secondi dopo ero avvinghiato a lei, le dita delle mie mani erano scivolate nella fica e nel suo culo quasi risucchiate. Aveva l'ano così dilatato che solo nei film porno mi era capitato di vedere. Inghiottì due o tre dita senza alcun lubrificante. Lei, nel frattempo, risucchiava lo sperma dalle mie palle verso la punta del cazzo, con la stessa voracità che si potrebbe avere con una cannuccia dentro un moijto in un caldo giorno d'estate. Esperta com'era, si rese conto dell'imminente arrivo dello schizzo, iniziò ad alzarsi la maglietta, prese il cazzo tra le mani e lo indirizzò verso le sue piccole e sode tette. La fermai, presi la sua testa tra le mani, e riportai la sua bocca sul mio cazzo pronto ad eruttare. Rialzai la testa e lo sguardo, in quel luogo non c'erano più i graffiti di prima, era calata la notte, illuminata da una luna piena pronta ad ascoltare il mio ululato di piacere.
Accanto a quella luna c'era una frase del Dottor Zivago, letta in treno, "l'uomo nasce per vivere e non per prepararsi alla vita".

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