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"E Rella?"
Sapevo che avrei dovuto rispondere a quella domanda, ma avevo rimandato il problema nella mia testa fino ad allora, che era troppo tardi.
"Non lo so"
Ed era la verità, il numero inesistente di chiamate o messaggi da parte sua dimostravano la cosa, anche se le stories su Instagram che avevo visto per sbaglio durante il viaggio in treno mi informavano di cose che avrei preferito non sapere. Ad esempio la circonferenza del suo seno (delle mani maschili, che erano taggate come @\Ludo_ilbello, lo misuravano in una camera parecchio MASCHILE) oppure il sacco con scontrino da un fast food della zona, o ancora, Il colore del suo reggiseno che si intravedeva tra la sua maglietta bianca fradicia e le braccia del tipo che la abbracciava (per la cronaca, era rosso).
A quel punto, nonostante mancassero altre foto da vedere, avevo deciso di smetterla, sia perché da un lato faceva male il fatto che mi avesse abbandonata di nuovo sebbene io mi fidassi di lei; sia perché era partita una canzone che amavo alla follia, Welcome to the black parade, dei My Chemical Romance.
"Come non sai?!"
"Mamma, ad un certo punto si è fermata con dei ragazzi, io le ho detto che avremmo perso il treno, ma lei non mi ha ascoltata; allora sono andata in stazione senza di lei. Come già sai ho perso il treno ed ho dovuto prendere quello successivo, ma lei non l'ho più vista. E visto che era occupata a ridere come un'oca mentre io ero lì in piedi, sola, non l'ho nemmeno chiamata. Ed evidentemente nemmeno lei riteneva opportuno chiamarmi, visto che non l'ha fatto"
Non riuscii a fermare le lacrime. Scivolarono lungo le mie guance come la pioggia di novembre sulle poche foglie ancora attaccate agli alberi.
Corsi in camera mia. Chiusi le veneziane azzurre e mi sedetti alla scrivania. Rimasi imbambolata a fissare il nulla per qualche minuto, poi, mentre ancora piangevo, mia madre entrò nella camera.
"Mi dispiace che si sia comportata così, di nuovo. Ti avevo avvisato di non fidarti... Hai già chiamato Mana?"
"No"
"Secondo me dovresti farlo. Parlarne con lei di solito aiuta. Se vuoi anche io ci sono. Sono tua madre, aspiro sempre al meglio per te. Lo sai"
Non risposi, la guardavo senza espressione.
"Se vuoi sono di là. Vedrai che si risolverà tutto e starai meglio"
Uscì chiudendo la porta con delicatezza e fermezza, senza lasciare spiragli irritanti.

Rella era una delle mie migliori amiche. La ammiravo per la sua folle simpatia e il suo spontaneo sorriso. Era la tipica ragazza popolare senza pretese o arroganza. Amava i pettegolezzi senza la passione per crearne di nuovi; amava le serie tv e i libri senza essere una nerd; amava le persone e la vita ed era quasi vegetariana.
Solare come una giornata d'estate, danzava come una lucciola con il tutù: era brava, ma mai ti saresti aspettato il balletto classico da un tipo come lei.
Eravamo per prima cosa compagne di scuola: all'inizio della nostra amicizia, tre anni fa, semplicemente ci scambiavamo idee e appunti riguardo le materie più ostiche, filosofia per me e matematica per lei.
Entrambe eravamo brave a scuola, e sebbene io fossi un po' più fissata di lei, avevamo interessi comuni. Ho sempre notato che non eravamo compatibili al 100%, ma quando stavamo insieme dimenticavo questa discrepanza perché mi faceva sentire speciale.

Ho problemi con mio padre da diverso tempo, ho pianto fino ad addormentarmi innumerevoli volte e ho incubi ricorrenti che spesso continuano fino quando decido di smettere di dormire.
Il primo periodo che ho passato con questa pessima routine notturna e questa pessima atmosfera domestica, a scuola ero intrattabile. Ho ferito con parole sottili e malefiche, sfiorando un lato oscuro che avevo dimenticato di avere.
Ho lentamente allontanato tutte le persone che mi stavano a cuore, ho perso amicizie preziose e lei sembrava essere l'unica rimasta, ad eccezione di Maan che sebbene la distanza e il mio odio rimaneva sempre disposta ad amarmi.
E poi niente. Ho scoperto che tramava alle mie spalle con altre ragazze, ragazze di cui sparlavamo giornalmente, ragazze che sia io che lei reputavamo odiose, o almeno così credevo.
La ignorai per parecchio tempo e lei fece lo stesso con me. Arrivai ad odiarla. A piangere anche a causa sua, a morire lentamente ogni volta che la vedevo, anche una sua foto bastava a rovinarmi la giornata.

Poi ritornò. Ci volle parecchio ma tornammo quasi come prima.
Non le spiegai mai il motivo del mio cambiamento, non le parlai di mio padre o dei casini che avevo fatto con le altre. Lei si giustificò dicendo che avrebbe voluto fare nuove amicizie. E la cosa fece malissimo, ma la perdonai. Non so perché lo feci, ma decisi di fidarmi.
Dopotutto con lei ero sempre stata bene.
E stavo tornando a sorridere sebbene i miei problemi non si fossero cancellati.
Fino a poco fa.

Cominciai a scrivere senza accorgermene. Nella penombra di un raggio di sole oscurato dalle veneziane scrivevo parole tristi.
E poi realizzai.
Mi drizzai sulla sedia come se fossi stata colpita da un fulmine.
Cosa. Diamine. Mi. Era. Venuto. In. Mente.
Avevo dato il mio numero ad un completo sconosciuto. Ma a cosa diavolo stavo pensando?
L'ansia invase il mio sistema nervoso.

Cercai il mio telefono senza successo. Sicuramente l'avevo lasciato in cucina, perché l'avevo riportato a casa per certo.
Scesi di corsa insultandomi mentalmente nelle tre lingue che conoscevo discretamente, calcolando l'italiano imparato a suon di sentirlo dal mondo che mi circondava, l'inglese imparato grazie alle innumerevoli serie tv e canzoni e il francese, imparato grazie al professore migliore del mondo.
Vidi il telefono sul tavolo, accanto a mia madre che stava cucinando.
Non sarei mai riuscita a prenderlo senza fare rumore, quindi ovviai al problema pretendendo che la mia presenza fosse normale, che il mio trucco nero sbavato fosse normale e senza pretendere di passare inosservata.
La tattica funzionò. Mia madre mi sfiorò con lo sguardo senza particolare attenzione ma non mi bloccò.
Portai il telefono in camera come fosse radioattivo e attivai la modalità aereo.
Poi la spensi.
E la riaccesi.
Per poi spegnerla.

Non sapevo cosa pensare, se sperare o meno che quel perverso mimo da strada parlante mi chiamasse. Se pensare a lui come un pervertito senza riguardi o ad una poetica foto in bianco e nero. Se desiderare la sua compagnia, o desiderare che si fosse dimenticato di me.

E poi il telefono squillò.
Mi spaventai a tal punto che lo lancia sul letto senza guardare chi fosse e cominciai a comportarmi come se avessi visto un ragno, ovvero come una spastica rincoglionita. Mi buttai verso il cellulare squillante e lessi il nome: Mana Banana🍌🖤 .
Grazie a Dio, pensai.

"Pronto?"
"MA SI PUÒ SAPERE PERCHÉ QUELLA DEFICIENTE DELLA TUA ALTRA AMICA SE LA STA FACENDO CON UN TIPO MENTRE ERAVATE ANDATE IN CITTÀ PER COMPRARE IL TUO REGALO DI COMPLEANNO? Ah e per la cronaca, auguri bimba"

Pioggia e stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora