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"Ti sfido"
E questo è il momento in cui avrebbe dovuto avere paura.
"Tu sfidi me?"
Lei, ignara della mia folle idea, ancora faceva la spavalda.
"Si, ti sfido a cantare la canzone Girlfriend di Avril Lavigne ad un figo di passaggio; dopotutto siamo nel bel mezzo di una città che non conosciamo: cosa potrebbe andare storto?"
Percepii il suo terrore.
"Cos'hai, paura? Una fiera grifondoro che ha paura?"
"Ti odio"
Non lo pensava davvero.
"Va bene, facciamolo. Cercami il testo che devo imparare"
Riuscì ad impararlo piuttosto in fretta. E poi arrivò il momento che più aspettavo: dovevo decidere la vittima.
Lo individuai subito.
Era bello come la morte, con i capelli neri e gli occhi grigi. Sembrava la fotocopia in bianco e nero di un attore famoso per il suo fascino; anche perché aveva un incarnato davvero molto pallido.
Capii che le piaceva perché sul momento di farlo esitò, ma poi la mia migliore amica si lanciò nella sfida e cominciò a cantare con l'originale in sottofondo. Ignorò gli amici e le occhiatacce ed arrivò alla fine sotto i miei occhi socchiusi da un sorriso canzonatorio e affettuoso, il tipo di sorriso che fai guardando un'amica fare una cazzata.
E poi accadde l'impossibile: lui cominciò a ridacchiare e poi invitò Rossella, la mia amica, al tavolo. Lei non mi chiamò con loro. Si sedette e ridacchiò come un'oca per qualche minuto sotto i miei occhi sbarrati.
La stavo palesemente fissando con un mix di incredulità e rabbia, avevo eliminato tutto dal mio campo visivo ad eccezione di lei. Progettavo la sua morte con soave creatività.
E l'impensabile accadde: nel momento in cui sentivo le prime lacrime raggiungere i miei occhi, mi girai per andarmene, ma finii contro un'altra persona.
No, non il figo in bianco e nero: lui era troppo occupato al tavolo; ma contro una cameriera, con bicchieri che ormai non erano più bicchieri ma cocci di vetro.
Cercai di aiutarla, ma mi mandò via malamente ed allora mi allontanai con la coda tra le gambe ed il peso dell'universo sulle spalle.
Trattenni le lacrime per il tradimento per qualche passo, e poi passarono.
Decisi che magari avevo mal interpretato. Tornai indietro da Rella.
"Tra poco dobbiamo andare, abbiamo il treno"
Vidi gli sguardi della tavolata di ragazzi scorrere dalla scollatura della mia amica ai miei occhi truccati di nero, ai miei capelli scuri con shatush blu, al mio fisico imperfetto, ai miei vestiti anonimi e neri e al mio seno inesistente.
"Non avrei mai immaginato che foste amiche"
B&W (aka Black and White, il mio ragazzo senza colori) era l'unico che non aveva rimesso gli occhi sulla scollatura.
"Oh, nemmeno io lo ricordavo più... soprattutto visto che mi ha brutalmente abbandonata nel bel mezzo di una città che non conosco pur consapevole del mio inesistente senso dell'orientamento. Uh, e tutto ciò solo perché ha fatto colpo su degli sconosciuti cercando di vincere la sfida che ho ideato per lei"
Non so quale fu la sua reazione, di lei, perché arrivata a questo punto mi voltai delicatamente e mi allontanai.
Se questo fosse stato un libro dolce, lei avrebbe trovato una spiegazione e saremmo tornate amiche come prima, se fosse stato un libro realistico, io mi sarei allontanata piangendo con le risate dei ragazzi e sarei tornata a casa da sola; ma dopotutto è un libro romantico, no?
"Corri in fretta per essere così bassa"
"Sono 1 metro e 53 di cattiveria, non ti conviene fare lo stronzo"
"ed io che pensavo ti vestissi di nero per moda"
Non replicai, dopotutto rischiavo di perdere il treno per davvero.
"La bella misteriosa ha un nome?"
"Probabile, perché non lo chiedi a Lolly e Dolly? Ah e se non te l'avesse ancora detto, sono i nomi delle tette di Rossella"
"Ha dato un nome alle sue tette?"
"Molte ragazze lo fanno"
"E tu come le hai chiamate? Phobos e Deimos? Oppure tipo Thanatos e Eros? Oh aspetta, lo so: Eris e Ate"
Mi fermai, affascinata dalle sue parole.
"Non ho dato un nome alle mie tette, sono troppo insignificanti"
"Bhe, se per avere un culo come il tuo il prezzo da pagare è niente tette... grazie al cielo che i tuoi geni hanno capito cosa scegliere"
Sorrisi senza programmarlo e scossi la testa leggermente contrariata.
"E la star in bianco e nero ha un nome?"
Era pure vestito con maglietta e jeans neri con un paio di sneakers bianche.
"Tutte i vip hanno un nome, darling. Vuoi quello pubblico o quello che mi hanno affidato alla nascita?"
Guardai l'orologio che avevo al polso. E realizzai: "fantastico, ho perso il treno. Mia mamma mi ucciderà"
Ignorando l'ottava meraviglia del mondo che avevo al mio fianco chiamai mia madre.
"Pronto... ciao, ho perso il treno. Dovrò prendere il prossimo che... è tra un'ora. Ma comunque arriverò in tempo per la coincidenza"
Persi un timpano, e probabilmente l'aria da bad girl. Perfino i peruviani avranno sentito la voce della mia dolce madre.
Comunque, sebbene la mia dignità fosse fuggita in Tibet, lui era ancora lì, con me.
"Quindi, abbiamo un'ora da spendere insieme. Pensi di voler conoscere il mio nome? Perché io vorrei sapere il tuo"
L'umiliazione che temevo di provare evaporò come neve al sole.
Sorrisi. Ed avevo già sorriso più a lui di quanto avessi fatto in tutta la mia esistenza e la cosa mi turbava non poco.
"Mi chiamo... è un po' imbarazzante"
"Perché?"
"Diciamo che alle medie non ho avuto vita facile con il mio nome"
"Io mi chiamo Noah"
"Ecco, ovviamente tu devi avere un nome fighissimo"
Arrossì, o forse me lo immaginai solamente.
"Cassiopea"
"Cassiopea? Sicura che non fosse Cazziopea? Oh cazzo, cioè Cazzio... pea"
"Non sei per niente divertente"
"Disse la regina Etiope a quello che ha costruito una zattera per salvare gli animali dal diluvio"
"La tua conoscenza di mitologia mi spiazza come poco al mondo"
"Solo perché ho battezzato le tue tette come due dee della discordia e perché conosco il mito dietro al tuo nome? Sorry darling but i miti erano le mie favole della buonanotte"
Camminando eravamo arrivati alla stazione.
"Tra mezz'ora arriva il mio treno, non sei obbligato a stare qui"
"Senti, vostra altezza regina dell'Etiopia, ti fisso più o meno da quando sei entrata nel mio campo visivo, mi hai dedicato una canzone facendola cantare dalla tua amica dalla dubbia fedeltà, una canzone in cui, tra l'altro, mi chiedevi di diventare la mia ragazza. E dopo averti accompagnata sana e salva in stazione e dopo aver assistito alla tua morte e resurrezione dopo la chiamata con tua mamma; dopo aver fatto apprezzamenti sul tuo culo e aver battezzato le tue tette e dopo aver fatto il coglione con il tuo nome, pensi davvero che potrei lasciarti mezz'ora da sola senza il mio numero quando potrei stare qui?"
"Si, la gente tende a dimenticarmi, a lasciarmi andare, a non curarsi di me. Quindi, si."
"Ma che schifo di gente conosci? Hai un indelebile?"
Lo presi dal mio zaino pieno di cianfrusaglie. Lui lo prese delicatamente dalle mie mani come se temesse di rompermi, staccò il tappo e mi passò lo stilo. Poi mi porse il braccio.
"Mi scrivi il tuo numero? Ho dimenticato il telefono a casa e non ho nient'altro"
"Lo sai vero che ho anche foglietti? Che se tu mi passassi il tuo io potrei chiamarti e così avresti il mio numero?"
"Cassie, scrivi"
Ed io scrissi.

Pioggia e stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora