Era ovvio che non andassi a scuola. Voglio dire, come avrebbe fatto una come me a correre da una parte all'altra per non perdere le lezioni con la bombola dell'ossigeno dietro? Sarebbe stata una scena a dir poco patetica.
Dunque avevo portato avanti i miei studi grazie a dei maestri privati, e dovevo tutto ai miei genitori, che si spaccavano la schiena ogni giorno solo ed unicamente per pagare le cure e l'istruzione alla sottoscritta.
E mentre vivevo il mio miracolo, lo pagavo a caro prezzo: rimbalzavo tra corse in ospedale e lunge degenze, e il mondo correva veloce, lasciandomi indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle mie coetanee, con una vita in frantumi, come i pezzi di un puzzle che non si incastonano più.
Luke Hemmings non si faceva vedere da circa due settimane in comunità, probabilmente aveva capito che sarebbe stata una cosa inutile, una perdita di tempo.
In ogni caso mi premeva domandargli dove avesse reperito il mio numero di telefono, anche se già sapevo la risposta: Ashton.
Quel giorno Patrick fece la solita cantilena ed io ed Ashton passammo il tempo a parlare dei capelli. Sì, i capelli.
"Sai Elizabeth, hai dei capelli magnifici, voglio dire, nessuno penserebbe che tu sia malata vedendo dei capelli così lunghi" disse sorridendomi.
"Vedono la bombola però" replicai.
I miei capelli erano lunghi, ma d'altronde la chemioterapia l'avevo completata da ben due anni, ed il nuovo farmaco non comportava la caduta dei capelli.
"Abbiamo i capelli dello stesso colore, anzi i tuoi forse sono un pochino più chiari" dissi sorridendo.
"Già ma i tuoi sono molto più belli ma aspetta" rispose e continuò "Luke ha sicuramente i capelli più chiari dei nostri. I suoi sono decisamente biondi. Tutti credono che si sia tinto i capelli, ma io lo conosco da una vita e posso giurarti che non é vero. Comunque é andato a trovare la nonna a Washington, e dovrebbe essere tornato ieri, forse era stanco e non é venuto oggi" disse come una macchinetta e non ebbi il tempo di replicare. Era troppo intelligente quel ragazzo.
"Ah okay" risposi con disinvoltura. Non capivo perché mi avesse dato tutte quelle informazioni, infondo non me ne importava nulla di Luke Hemmings.
Ashton riprese a parlare e mi raccontò quella volta in cui scivolò sul pavimento bagnato andando a cadere i faccia sulla torta di compleanno della sorella, della storia con l'ex fidanzata Josephine, del sogno di diventare un batterista o un critico d'arte.
"Avrei voluto diventare critico d'arte, ma per diventarlo, sai, bisogna avere degli occhi sani, ed io non li ho. Però prima che mi tolgano anche l'altro, vorrei vedere il più possibile, quindi ho deciso di andare a New York la prossima settimana, magari a visitare il Moma e il Guggenheim. Volevo chiederti se avevi voglia di accompagnare una povera anima in pena."
Mi chiese con occhio speranzoso. Ci pensai a fondo, la Grande Mela non era affatto lontana, e l'arte sicuramente era uno delle mie passioni più grandi.
Beh, infondo non ero mai stata nella
"Okay, si, vengo" dissi fin troppo eccitata, forse un po' troppo dato che Ash si mise a ridere.
Il pomeriggio passò velocemente tra una cosa e l'altra e la giornata voltava al termine. Usciì, prendendo il cellulare per chiamare mia madre, quando qualcuno poggiò una mano sulla mia spalla; mi voltai, era Luke Hemmings.