Settimo capitolo.

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Settimo capitolo.

Oggi mi dimettono. Non so bene cosa aspettarmi, ma sono felice. Dopo due settimane di pura agonia, finalmente posso dire di essere una sopravvissuta.

I raggi del sole entrano caldi dalla finestra, illuminandomi il viso. Strabuzzo gli occhi ancora impastati dal sonno e biascico, corrucciando l’espressione in una smorfia imbronciata. L’odore di disinfettante mi stordisce i sensi, per la millesima volta. Possibile che non ci farò mai l’abitudine? Probabilmente si. Scuoto il viso sconsolata, spostando il peso su entrambi i gomiti. Camice Blu dovrebbe essere qui a momenti e solo ora mi rendo conto di avere bisogno di una doccia. I capelli mi ricadono dritti come spaghetti sulle spalle, appiccandosi al viso come sanguisughe. Da biondo cenere hanno assunto il colore della polvere. Non oso guardarmi allo specchio; non reggerei il confronto. Lancio una veloce occhiata all’orologio sopra la mia testa. Le dieci e mezza. Il tempo non regala niente a nessuno, borbotto tra me e me, eppure dovrebbe fare un’eccezione. Schiudo le labbra e mi lascio sfuggire uno sbuffo caldo. Chissà se in bagno c’è una doccia. Con uno slancio determinato, salto giù dal letto, strisciando i piedi sul pavimento per raggiungere la porta a lato della finestra. La apro e un cigolio simile ad un lamento si eleva dai cardini che la tengono salda. Una volta dentro vengo avvolta dal calore che il giallo chiaro delle pareti emana. Arriccio la punta del naso, mentre faccio scorrere il palmo di una mano sulle piastrelle in marmo. Niente male per essere un bagno. Mi guardo intorno, assorbita dal fascino surreale che nutro. Il lavandino bianco ceramica è disposto vicino all’ingresso, il rubinetto in acciaio è arrugginito, mentre una mensola candida aleggia al di sopra, fungendo da sostegno per un enorme specchio rettangolare. Evito la mia immagine riflessa con cura, abbassando lo sguardo ogni qual volta scorgo un viso scavato e minuscolo intento a fissarmi. Seguo con gli occhi il perimetro circolare del tappetino sistemato difronte ad un mobiletto in legno, sopra il quale si erge un vaso contenente un mazzo di rose finte. E’ mai possibile che non ci sia una vasca da bagno? Né una doccia? Insomma, sono loro i primi ad insegnarti quanto l’igiene personale sia fondamentale. Una voce allarmata mi riscuote dai miei pensieri, riportandomi alla realtà.

“Josephine?” Camice Blu pronuncia il mio nome in un affanno. “Josephine, dove sei?” Sento la preoccupazione montare nel suo tono ovattato, imprigionandomi il petto in una morsa carica di sensi di colpa.

“Sono in bagno.” Gracchio. Una serie di passi sordi mi raggiunge, mentre mi volto verso la porta ancora aperta.

“Non fare mai più una cosa del genere.” Camice Blu si appoggia allo stipite, le braccia incrociate al petto e gli occhi ridotti a due piccole fessure.

“Volevo farmi una doccia.” Confesso, sporgendo il labbro inferiore in avanti.

“Non puoi..” Il suo viso si corruccia, le sopracciglia che formano due archi ampi. “Cosa?” Ridacchio sotto l’incredulità del suo tono. Vorrei avere una macchina fotografica per immortalare il momento.

“Si, ecco..” Mi mordicchio nervosamente l’interno guancia, dondolando sui talloni. “Ho dei capelli orrendi.” Sentenzio a testa alta. Ammetto di provare un briciolo d’imbarazzo, insomma, nessuno vorrebbe ammettere a voce alta i difetti del proprio aspetto. Mi stringo nelle spalle, con espressione insofferente. Camice Blu solleva gli angoli delle labbra in un sorriso schivo. Capisco dalla scintilla nei suoi occhi che sta facendo del suo meglio per non ridere. Grazie tante.

“I tuoi capelli non hanno niente che..” Si gratta la nuca, facendo scivolare lo sguardo sulla mia chioma informe. “Sì, insomma..”

“Sei venuto qua per prendermi in giro?” Sbotto. Cavolo, ora sì che sono offesa.

Ad un passo da te. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora