Capitolo 1

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"Signorina Walder, pensavo che non l'avrei mai più revista."

Un uomo alto e secco sulla sessantina mi guarda con uno sguardo luccicante, pieno di orgoglio. Il colore del grano dei suoi occhi, così unici, mi riportano a quando ero bambina. L'ultima volta che sono stata qui avevo avuto circa otto anni. Ne è passato di tempo. Eppure lui me lo ricordo: i suoi occhi, la fronte alta, gli zigomi ben delineati e il sorriso, oh il suo sorriso! Sembra un angelo e non un semplice contadino. Solo l'abbigliamento trasandato e le mani rugose tradiscono la sua vera natura. Un uomo di campagna, selvaggio, sfuggente e dannatamente bello... per me bambina Oscar era la rappresentazione perfetta della libertà.

"E' sempre un piacere rivederti, Oscar."

Il mio sguardo si sposta da lui verso la grande siepe che circonda la maestosa tenuta dei Labardi, l'orgoglio della famiglia di mia nonna materna. Oscar segue il mio sguardo, si gira con calma e mi fa cenno verso il cancello.
Non può sapere come mi sto sentendo, non può sentire il cuore che batte selvaggiamente contro il mio piccolo petto. Afferro il borsone che ho appoggiato per terra e lo supero con un passo insicuro. 
Sono di nuovo la bambina di otto anni, intimidita dalla grandezza del cancello e spaventata da quello che si trova dietro all'edera curata. Oltrepasso il vecchio e buon Oscar e sfioro il portone, il freddo del ferro mi esorta a spingerlo con più forza. Appena varco la soglia, rimango immobile, senza fiatare.

"E' uguale a come me la ricordavo" mormoro più a me stessa che a Oscar.

La tenuta dei Labardi risale all'Ottocento e viene tramandata di generazione in generazione. Durante l'ultimo secolo è diventata la nostra casa delle vacanze, un luogo dove rifugiarsi dalla caoticità giornaliera. Questo fino a quando mia madre non ha deciso di sposare un ricco imprenditore tedesco, andando contro il volere del mio nonno. Non ho ricordo di loro due insieme, mia mamma mi vestiva e spediva con il treno dove il buon Oscar mi accoglieva con un sorriso smagliante e tante storie da narrarmi. Ora che ci penso ho più ricordi di Oscar che dei miei nonni.

"Tua nonna aveva iniziato dei lavori di restaurazione del vecchio porticato, in alcuni punti le mattonelle del pavimento sono un po' cedevoli."

Annuisco. E finalmente guardo il dondolo accanto all'albero, il posto che ha popolato i miei sogni d'infanzia e che ha dato inizio alla mia passione. Fin da bambina mi sedevo all'ombra delle due querce e fantasticavo storie, racconti che hanno preso vita sulla carta anni dopo quelle esperienze infantili.

"Perché sei tornata, Cara?"

Già, perché sono tornata? Sorrido con tristezza, ripercorrendo i pensieri che mi hanno accompagnato durante le ultime settimane. Sono consapevole che sto fuggendo da Riccardo, dai genitori oppressivi, dalla mia vita e, soprattutto, da me stessa. Non so più chi sono e cosa voglio.

"Qui è tutto iniziato. Ti ricordi la storia di Phil?"

"Come potrei dimenticarmene! Ne eri completamente ossessionata, rincorrevi il suo fantasma nel capanno e ti perdevi nelle stanze per riuscire a parlargli. Avevi una fervida immaginazione."

Una fervida immaginazione. Quella che ora mi manca più di tanto.

"Forse è la volta buona per fare questa chiacchierata. Magari Phil è più disponibile ora ad ascoltarmi."

Osservo Oscar che mi guarda divertito e che non si trattiene dallo scoppiare a ridere. Vorrei potermi unire a lui, ma non ne ho le forze. Sono stanca, ho bisogno di farmi una doccia e riposare un po'. 

"Allora ti auguro un in bocca a lupo e fammi sapere se Phil ti risponde" esita un attimo, sembra sul punto di dire qualcosa, poi fa un gesto con la mano rugosa. Qualsiasi cosa volesse aggiungere, non lo fa. 

"Ora devo andare a recuperare le mucche al pascolo. Se hai bisogno di qualcosa sai dov'è casa mia, tra l'altro Rosetta sarebbe contenta di averti a cena una di queste sere. Mio figlio ti porterà la spesa ogni sabato mattina, se hai bisogno di qualcosa basta che tu gli faccia sapere. La vecchia bici di tuo nonno è in buone condizioni e il negozio che c'era giù in città è ancora funzionante."

Annuisco distrattamente. La spossatezza mi sta assalendo, non vedo l'ora che Oscar vada via. Sfioro la fronte e mi rendo conto che sono calda, fa dannatamente caldo per essere l'inizio di settembre.

"Grazie mille, Oscar. Passerò sicuramente a salutare tua moglie!"

Il vecchio sorride con dolcezza e mi viene spontaneo da ricambiare. 

"E' bello riaverti a casa, Cara."

Non aggiunge nient'altro, si gira ed esce dal cancello fischiettando. Dopo pochi minuti non sento più l'allegro motivetto. Finalmente sono da sola.
Prendo il borsone e lo trascino con me lungo il vialetto, ho portato il minimo indispensabile, certa che non mi sarei fermata più di tanto. Dal resto quanto ci vuole per riprendere in mano la propria vita?

Salgo le scale, avvolta dalla luce soffusa che filtra dalle finestre, faccio scorrere la mano sul corrimano di ciliegio, è liscio e gradevole al contatto

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Salgo le scale, avvolta dalla luce soffusa che filtra dalle finestre, faccio scorrere la mano sul corrimano di ciliegio, è liscio e gradevole al contatto. Conto i gradini, percorrendoli lentamente. Il lungo corridoio si presenta davanti a me, da bambina era terrificante percorrere quei meandri della casa e, a quanto pare, le cose non sono cambiate. Inspiro l'aria, dandomi della sciocca e proseguo con passo più lento verso la terza stanza a sinistra, la camera di quando ero bambina. La porta cigola e, involontariamente, mi ritrovo a sobbalzare. 
Il contenuto della stanza non è cambiato. C'è ancora il vecchio mobilio decrepito color panna decorato da inutili fronzoli e fiorellini. Mi avvicino al letto e appoggio la mano sulla coperta di patchwork, un regalo di Rosetta. Sulla mensola a destra ci sono ancora loro: Brunilde, Eva e Gasparina, le tre bellissime bambole di porcellana. Ora la loro bellezza è svanita, faccio un passo in avanti e le esamino con attenzione. Il loro viso di onice è ricoperto da polvere e da fuliggine mentre i vestiti sono sporchi e rovinati. Il tempo non ha risparmiato nemmeno loro.
Il grande specchio sulla parete mi rimanda l'immagine di una giovane donna, distolgo subito lo sguardo cercando di posarlo su qualche altro dettaglio. E finalmente trovo quello che cercavo. Solo chi sa della sua esistenza può trovarlo. Sposto il comodino e osservo le due assi di legno leggermente scheggiate. Mi inchino a sfiorarle finché le mie dita non trovano l'appiglio e, con calma, sollevo l'asse, rilevando il contenuto. Tiro fuori il mio prezioso tesoro e sorrido alla vista di quei fogli pieni di scarabocchi e scritte. Le passo in rassegna uno ad uno, leggendo i nomi di personaggi, luoghi di fantasia e osservo i loro volti tracciati con imprecisione da una mano infantile. La porta sbatte, facendomi sobbalzare. 

"C'è nessuno?" urlo, aspettandomi una risposta.

Che sciocca! Probabilmente mi sono dimenticata di chiudere la porta da basso, creando corrente d'aria e, inoltre, la casa è piena di spifferi.
Rivolgo di nuovo la mia attenzione ai fogli, non so nemmeno io cosa sto cercando. Poi finalmente mi fermo e osservo quelle due firme. Riconosco la mia calligrafia, il nome scritto con i caratteri timidi mentre l'altra scritta non è mia. 

"Per sempre. Phil." leggo sottovoce.

Sfioro le scritte, ripensando a quel personaggio che avevo creato. Phil era ed è tutt'ora il protagonista meglio riuscito nei miei ultimi vent'anni. Ed è per lui che sono tornata. Voglio la fine degna di lui per il libro incompiuto, per la storia delle storie. Lancio un'occhiata al borsone e tiro da lì un grosso quaderno di appunti, lo apro con cura e infilo il foglio nella prima pagina.

"Bentornato Phil." mormoro finalmente sorridendo.

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