Io, sono Isabella.
Purtroppo non è come si dice spesso:
"Un nome, una garanzia", anzi.
Vorrei poter vantare di qualsiasi grande pregio sul mio meraviglioso corpo da urlo, ma questa massa informe che mi ritrovo non me lo permette.
In molti mi hanno sostenuta con questa idea, ma con un linguaggio molto diverso dal mio.
Tutto questo quando? A scuola.
E quale mai in particolare...
Il liceo, ovviamente.
L'unico posto dove se sei te stesso, sei semplicemente una persona orribile.
Non fraintendetemi, so che non tutti sono nati per giudicare, ma l'evidenza dei fatti chiarisce che la maggioranza lo è. Soprattutto, se si è in preda agli ormoni adolescenziali e alle vampate di finta popolarità che garantiscono un posto "favorito" in una specie di società studentesca.
In poche parole: o segui la massa, o sei perseguitato da essa.
Il fatto che essere se stessi fosse diventato un tabù mi ha sempre aiutato, in un certo senso, ad ottenere ciò che volevo: solitudine.
Questo desiderio nasce dalla estate di fine terza e, di conseguenza, inizio quarta superiore, in seguito alla morte dei miei genitori.
20.08.2015
Una data.
Una stramaledettissima data, la quale, in base al contesto può significare tante cose: nascite, compleanni, onomastici, festività, matrimoni, anniversari, morti...
Ed ecco il mio caso, l'ultimo punto, ovviamente.
#Flashback#
Stiamo tornando, in Liguria, da due settimana di vacanza e...cavolo se fa ancora caldo!
Insomma, siamo praticamente a settembre, il sole non potrebbe riscaldare un po' di meno?
La macchina intanto sta proseguendo sull'autostrada, sulla quale, ringraziando L'Altissimo, c'è poco traffico visto il periodo.
Ad un certo punto il telefono di mia madre squilla e sia io da sedile posteriore, che mio padre al volante, ci giriamo verso di lei incuriositi.
«Chi è?» chiede mio padre ripuntando gli occhi sulla strada.
«È la zia» risponde mia madre prima di accettare la chiamata- «Catia, ciao! Come stai?...si, sisi è stato fantastico, ah...davvero? Poi mi devi raccontare allora...oh, sì certo...ok aspetta»Sento lei conversare finché non si gira verso di me, allungandomi il telefono:
«La zia ti vuole salutare» dice.
«Adesso non ne ho voglia» rispondo un po' seccata.Parliamoci chiaro, io adoro zia Catia, ma odio le telefonate dei parenti in cui mi chiedono vita, morte e miracoli su cosa è successo durante le vacanze.
«Isabella...» mi dice mia madre mentre copre l'altoparlante del telefono e mi guarda con uno sguardo assassino.
«Mamma, ho detto di no, smettila di rompere le palle» sbotto infastidita.
Al che mio padre si gira verso di me e inizia a urlare:
«Isabella Ferrani come cazzo ti perm-» urla, ma la scena per me è come se fosse diventata a rallentatore.
Mio padre si era girato in modo brusco sul sedile per parlare con me e ciò aveva implicato una conseguente pressione sul volante che, mano a mano girava sempre di più verso la corsia contromano fino a che l'unica cosa che vidi è l'enorme facciata di un camion che andava verso di noi ad una velocità quasi incalcolabile.
Poi, il buio.
#Fine Flashback#
Tre settimane dopo mi sono risvegliata da un coma farmacologico che i dottori, come da loro spiegazione, mi avevano indotto per salvarmi la vita, e con successo direi. Purtroppo.
Subito ho chiesto dei miei genitori e, nonostante la loro esitazione iniziale, mi informarono che per loro il colpo era stato fatale e che io sono viva solo per miracolo.
Dal giorno in cui sono uscita sono andata a vivere con mia zia Catia, la mia parente più prossima, la quale, con mio grande stupore, non ha mai avuto rancore verso di me.
Ma io si, io mi sento tutti i giorni colpevole di ciò che è successo, di come poteva andare, di come potremmo essere adesso e del peso che per la vita porterò sulle spalle.
Alla fine, in questi tre anni, la zia non mi ha fatto mai mancare niente, nonostante fosse molto triste del fatto che io non risultassi essere mai felice veramente e non è stata solo una seconda mamma, ma anche una migliore amica perfetta.
E le devo la vita per questo.
Ad un certo punto sento un tonfo e mi giro verso mia zia, che ha appena chiuso il cofano, che mi osserva e poi esclama:
«Certo che sei proprio pensierosa eh! Cioè, lo sei sempre, ma oggi più del solito»
Poso l'ultimo scatolone nei sedili posteriori e le rispondo.
«È solo che...mi mancherai» ammetto chinando il capo.
Al che mia zia chiude la portiera e si gira a guardarmi.
«Bella, ti chiamerò tutti i giorni e per tutte le festività ti verrò a trovare, sono solo tre anni, vedrai che passeranno così in fretta che neanche te ne accorgerai» mi conforta abbracciandomi per poi staccarsi e lasciarmi un dolce bacio in fronte.
«D'accordo....» rispondo amareggiata salendo in auto.
Credo di essere pronta.
Credo di essere pronta a crearmi una nuova vita.
/Spazio autrice//
Ciao a tutti!
Premessa: questa storia non mi appartiene nei minimi particolari, ma nella maggior parte si, per cui è come se stessi vivendo una futura vita scegliendo il mio destino.
Vorrei che mi commentaste qualsiasi giudizio sull'introduzione della storia, sia positivo che negativo, per vedere dove, eventualmente, potrei o dovrei migliorarmi.
Al prossimo capitolo e un bacione a tutti quanti! 💋
-Beatrice
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|| Inferno occasionale, Paradiso assicurato ||
Teen FictionMi chiamo Isabella Ferrani, ma coloro che mi conoscono da tanto tempo ormai sono abituati a chiamarmi "Bella", ho da un po' passato i 19 anni e, se devo essere diretta, i miei genitori sono morti. Successe tre anni fa, non c'è mai stato un giorno in...