Chio

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Prologo

Mi mossi lentamente, con il respiro affannato, ma non riuscii a fare un solo passo che una fitta di dolore mi attraversò la schiena e le estremità inferiori. Mi accasciai di nuovo, cercando di trascinare il mio corpo pesantissimo fuori dall’edifico, facendo leva con le mani sulle vecchie assi di legno. Una densa nube di fumo si stava espandendo dalle fondamenta della chiesa. Mi sentivo soffocare, le ferite sanguinavano copiosamente e tremavo per i brividi. Stavo diventando un pezzo di ghiaccio, prospettando una morte imminente, riuscivo a malapena a muovermi, i sensi si erano attutiti pesantemente, mentre il fumo mi ricopriva interamente. L’uscita da quell’inferno di fiamme non mi era nota e brancolavo confusa nel grigio, era orribile non poter vedere dove andare. Forse non c’era speranza? Si, era così: non potevo più muovere le gambe nello stato in cui erano ridotte. Le guardai per avere conferma, ma girai immediatamente gli occhi dall’orrore: erano tutte rosse, bagnate, e si potevano scorgere i tessuti muscolari che pulsavano per lo sforzo e il dolore, il sangue vivo colava abbondante.

I battiti accelerarono considerevolmente, gocce ghiacciate mi imperlavano la fronte sporca di polvere, terra e chissà che altro. Iniziai a tossire, il fiato mi venne a mancare sentendo i polmoni stritolati in una morsa dal denso fumo. Ero sempre più debole, stavo perdendo coscienza, ma prima che accadesse, riuscii a sussurrare:

<< Dove diavolo sei, stupido demone? >>

Se questo era un piano per uccidermi, aveva fatto centro. Persi coscienza, cadendo nelle tenebre, e lì dove c’era solo il nulla, c’era lei:

La morte.

Nella più totale oscurità il suo scheletro bianco si stagliava tra le tenebre, alzai il braccio e lo scossi in segno di saluto.

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Il vento soffiava impetuoso tra i rami della boscaglia, trasportando con se un forte odore di pini e menta, qualche piccolo fungo innocuo cresceva da queste parti, facendo capolino dal terreno, l’acqua di un ruscello scorreva tranquilla e qualche insetto zampettava tra l’erba coperta di goccioline di vapore acqueo. Speravo in una giornata tranquilla, senza invasioni da parte dei miei simili o di umani a caccia di qualche animale selvatico. Una goccia di rugiada mi cadde sul viso, scorrendomi nell’incavo dell’occhio, come una lacrima, da me scacciata seduta stante. Annusando l’aria non notai niente di strano. Mi appoggiai ad un vecchio ceppo tagliato e, fissando il cielo che mostrava le prime luci dell’alba, sospirai, mentre un suono malinconico si produsse dalla gola. Non era il momento buono per cianciare, dovevo trovare qualcosa da mettere sotto i denti.

Mentre cercavo di visualizzare una possibile preda nelle vicinanze, sentii qualcosa di strano che mi portò ad alzare la testa per captare il nuovo odore che arrivava alle narici: fumo. Affondai gli artigli nella corteccia di un albero e mi arrampicai fino in cima per stabilirne la provenienza esatta, focalizzando le mie energie verso il punto da cui proveniva: era distante un chilometro all’incirca a nord, sul limitare del mio territorio. Attraversando il confine dimensionale, arrivai a qualche metro di distanza dal luogo e, scrutando tra le fiamme che divoravano l’edificio, vidi qualcosa che emanava l’energia di un essere ancora in vita. Inclinai la testa su un lato, ancora indeciso sul da farsi.

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