Capitolo 1 - La notte delle stelle cadenti

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                                 Capitolo 1

                   La notte delle stelle cadenti

Dodici anni prima…

Mi rifugiai sotto il letto, cercando di non produrre alcun suono mettendo le mani sulla bocca, ma non riuscii comunque a trattenere una piccola risata. Dei passi si avvicinarono alla mia stanza, riuscivo a vedere i piedi di quella persona dal mio nascondiglio poiché il letto era stato sistemato difronte alla porta. Una voce affaticata e un po’ seccata pronunciò ad alta voce:

<< Chio, esci fuori! Non abbiamo tempo da perdere, siamo già in ritardo! >> l’uomo iniziò a girare per la stanza, cercandomi, mi ritirai ancora di più sotto il letto. Non volevo andare in quel posto di nuovo, non mi piaceva affatto e avrei fatto di tutto per non farmi trovare.

<< Chio, dai per favore tesoro, dove sei? >> chiese serio.

Purtroppo mi sfuggì un'altra risata che fu udita dal tizio che mi stava cercando, non ci volle molto che una mano mi acchiappò per la gamba e mi trascinò fuori dalla mia “safe zone”. Iniziai a dimenarmi, ma senza successo, la presa era abbastanza forte da non farmi scappare via.

<< Eccoti qua, monella! >> disse vittorioso prendendomi in braccio.

<< No, papà, io non ci voglio andare in quel posto! >> iniziai a scuotere la testa a destra e sinistra per cercare di convincerlo.

Mio padre era un uomo di un aspetto piacevole, certo non era bello, ma nemmeno brutto, una sorta di via di mezzo. Era alto all’incirca un metro e ottantatré, con i capelli carota e gli occhi grigio chiaro, di corporatura magra. Quel giorno indossava una camicia verde scuro, dei pantaloni di cotone marrone chiaro e dei mocassini marrone scuro di cuoio.

Lui mi guardò con disapprovazione e prese la mia giacca dall’armadio, cercando in qualche modo di infilarmela addosso.

<< Chio, non fare i capricci, è importante andare a messa. >> disse in un tono che non ammetteva repliche di alcuna sorta, da qual buon uomo religioso che era.

<< No! Non mi piace, è cattiva! >> scossi più forte la testa, cercando di togliermi la giacca che era riuscito a farmi indossare con la forza. Lui mi posò a terra, sperando di trovare un modo per farmi ragionare, mi prese il faccino imbronciato tra le mani che allora mi sembravano davvero grandi e mi chiese con calma:

<< Perché? >> il suo sguardo stava cercando di penetrare nella mia mente per capire cosa frullasse nel mio cervello di bambina di sei anni e mezzo.

<< Perché sento che c’è qualcosa di cattivo e Calvin ha detto che Dio mi odia… >> parlai piano, guardandomi le punte dei piedi, come se non volessi essere sentita da altri, anche se in casa c’eravamo solo noi.

<< Cosa?! E chi è Calvin?! >> mi chiese preoccupato, forse aveva capito che forse era meglio restare a casa come volevo io, mi sentii in un qual senso sollevata.

<< Calvin, il bambino insieme alla signora con il vestito con la papera… la bal- >> stavo per completare la frase quando mio padre mi interruppe guardandomi malissimo. Non voleva che la chiamassi “balenottera”, mi diceva sempre che era scortese affibbiare alla gente dei soprannomi per la loro stazza, anche se a me non sembrava affatto offensivo, era quello che era.

<< La signora Rosì è una bravissima donna, anche se è un po’ sovrappeso, e soprattutto, siamo appena arrivati, non vorrai costringerci a trasferirci di nuovo, vero Chio? >> dal suo sguardo capii che sarebbe stato meglio se mi fossi stata zitta in quel momento, per me era già abbastanza non andare in chiesa. Scossi la testa.

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