Capitolo 2

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Isabell si alzò velocemente e con uno scatto raggiunse la porta che la separava dalla piccola cittadina in cui viveva ma in meno di un passo Ivor la raggiunse, la spinse per terra e le assestò un calcio sulla nuca che le fece perdere i sensi. -D dove sono ? Cosa ci faccio in questo posto?- Isabell si guardò attorno, era nel nulla e il nulla aveva la forma di un prato scuro, un salice piangente, un piccolo lago di acqua nera e un cielo che pareva acor più scuro del nero stesso; con un balzo Isabel fu su è ritrovò in se stessa una forza che mai aveva provato prima, una potenza che non poteva eguagliare neanche il più forte uomo della Terra e non. Tutto questo le sembrava impossibile e con la mente cercava di dare un senso a questo suo inspiegabile potere quando una piccola lucina richiamò la sua attenzione, piano piano si avvicinò alla riva del lago e si sporse per vedere meglio da dove provenisse questo luccichio quando la luce si fece più intensa e divenne insopportabile poi il bianco, bianco ovunque ad eccezione di un' ombra con le mani da donna riconoscibili dalla pelle pallida e dalle lunghe unghie ben curate e colorate di nero che si mossero in direzione del lungo cappuccio che copriva il volto di quest' ultima e che lentamente scivolò giù lasciando spazio ad un viso, Isabell non scorse il viso perché solo la vista delle sottili dita della donna l'aveva fatta urlare e quest'urlo le riecheggiò in testa destandola dal suo sonno. Isabell si ritrovò in un letto d'ospedale con quelli che a lei parevano mille o più fari puntati sul suo viso, si alzò di scatto spostando due lampade e vestita solamente di un paio di pantaloncini e un canottiera, si diresse alla porta d'uscita della sua stanza, oltrepassata la porta vide davanti a se la sua immagine riflessa in uno specchio appeso al muro del corridoio e per poco non urlò. La ragazza di fronte a lei non aveva più il suo apetto, il viso della vecchia Isabell non si riconosceva più tanto era rovinato, un occhio nero e gonfio che pulsava come se avesse vita propria, un labbro spaccato a metà coperto solo da un misero cerotto, la faccia piena di lividi ma soprattutto un brutto taglio che le percorreva tutta la nuca e metà collo che bruciava di un dolore insopportabile. Prese a camminare in cerca di un orologio che le potesse ridare la cognizione del tempo ormai persa in chissà quanti giorni che aveva passato sul letto da cui si era alzata solo poco tempo prima, percorse tre quarti del corridoio per poi svoltare a sinistra, durante il suo tragitto aveva incontrato solo poche persone ma nessuna le rivolse la parola, arrivata nell'ingresso notò un piccolo orologio appeso al muro dietro il banco lo fissò e incredula lesse le 5:18

Il mio miglior incuboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora