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Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d'una ingiustizia che non t'aspettavi, d'un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.
(Oriana Fallaci)

Anche quel giorno, avevo potuto godere del suo tanto atteso e gradito passaggio.
Il nostro momento, come di consueto, si interruppe di fronte alle imponenti mura della mia scuola. La salutai con un bacio sulla guancia e scesi dalla macchina, durante la prima ora non avevamo corsi in comune. Grace, tra la folla di studenti, rideva e scherzava assieme alle sue nuove amiche, il tipo di persone che aveva sempre deriso. Le passai davanti ma finse di non vedermi, amareggiata varcai la soglia dell'inferno. I corridoi erano brulicanti di persone e a mala pena era possibile attraversarli. La prima ora, di storia, passò abbastanza velocemente. Oramai, non prestavo più attenzione alle lezioni. L'insegnante era molto giovane e cercava in tutti i modi di attirare la nostra attenzione, ma era una sfida persa in partenza. Non riuscivo nemmeno a immaginare il mio futuro, cosa poteva importarmene di uomini vissuti in un passato lontanissimo?
Alex adorava la storia, era la migliore del suo corso. Nessun'altra materia le interessava altrettanto, motivo per il quale i suoi voti erano decisamente bassi. Mia sorella, a differenza mia, aveva deciso di concentrarsi unicamente sulla sua vita sociale, amava conoscere gente nuova, fare esperienza. Io, invece, preferivo starmene nel mio angolino sicuro, lontana dal mondo che tanto mi spaventava. Avevo il costante timore di essere sbagliata, troppo diversa dalla massa uniforme dei miei coetanei.

Dopo altre tre ore, arrivò uno dei momenti che detestavo di più, la pausa pranzo.
La mensa era una perfetta miniatura del mondo che mi circondava. Sul lato sinistro, si poteva ammirare l'incantevole gruppo delle dive. Circa quindici cheerleader purosangue, finte fin dentro le ossa, guidate da Amelia, Kylie e Anne. Un unicorno rosa, ricoperto di paillettes e con la coda a frange sarebbe, certamente, stato più sobrio della loro striminzita divisa. I loro interessantissimi discorsi spaziavano dall'ultimo articolo di Vogue agli addominali dei ragazzi della scuola.
Oche.

Al centro, invece, si estendeva il magnifico squadrone dei cool, mi tremavano le gambe solo a guardarli, no non è vero. Jake, Jordan e Luke guidavano quella schiera di imbecilli ben vestiti. Figli delle personalità più ricche e influenti della città, ottenevano tutto ciò che desideravano. Credevano che bastasse un occhiolino e una pacca sul sedere per far perdere la testa alle ragazze. A dirla tutta, in quel posto, funzionava proprio così.

Sulla sinistra, si estendeva la sezione più popolosa della fauna scolastica, i plebei. Unico loro errore era stato quello di non essere biondi o cool. Si ritrovavano, così, perennemente vittime degli scherzi e prese in giro dei due gruppi principali. In quel gruppo era presente la più ampia varietà di personalità, dai nerd ai sociopatici.

Io e Rachel preferivamo mangiare in cortile.
Alex, per via del suo modo di fare affabile, era, invece, riuscita a entrare nelle grazie del gruppetto più IN della scuola. Quanto li odiavo. Inconsciamente, attribuivo loro la responsabilità di quello che era successo a mia sorella. Da quando aveva iniziato a frequentare quelle persone, si era allontanata da me e da se stessa. Aveva cominciato ad essere sempre acida e di cattivo umore, così diversa dalla Alex che tutti conoscevamo.

Mentre mi sforzavo di mandare giù l'orribile cibo della mensa, sentii una mano picchiettare delicatamente sulla mia spalla. Mi girai confusa e lo fui ancora di più, quando mi accorsi di chi si trattasse, Amelia Fitzgerald, la reginetta della scuola, nonché migliore amica di Alex. Non avevo mai sopportato quell'oca. Lunghi capelli neri e un perenne sorrisetto falso sulle labbra. Troppe erano state le volte che mia sorella mi aveva messa da parte per stare con lei. Tutto era più divertente con Amelia. Alex mi cercava solo quando la sua amichetta del cuore era occupata, ero diventata la sua ruota di scorta.
La guardai in modo sprezzante, cercando di fulminarla con lo sguardo. Aveva una strana luce negli occhi. Tutto ciò non mi piaceva affatto.

<Morgan, tesoro, devo parlarti>

<Dimmi pure, Amelia...>

<Vedi, preferirei parlartene in privato. Si tratta di una questione molto delicata. Vorrei evitare che diventasse di dominio pubblico.>

Lo disse guardando in malo modo la mia amica, come se fosse una pettegola conclamata.
Chiesi scusa con lo sguardo a Rachel e seguii l'oca in un angolo più appartato del cortile. Senza aggiungere nemmeno una parola, mi puntò davanti agli occhi lo schermo del suo cellulare, ovviamente appena uscito sul mercato. All'inizio, non capii dove volesse andare a parare, ma poi mi concentrai a leggere meglio la chat. Si trattava di un numero non salvato in rubrica e l'ultimo messaggio risaliva al pomeriggio precedente. Decisi di leggerlo.

-Amelia, tesoro. Non sai quanto mi sia dispiaciuto di dover andare via senza salutarti. Non ne potevo più dei miei genitori e di mia sorella. Spero davvero di non averti fatta preoccupare. Io sto bene, ma non posso dirti dove mi trovo. Ti scongiuro di non parlarne con nessuno. Non voglio che la mia famiglia mi trovi. Ti voglio bene. Alex.

Alex era viva, lo aveva scritto ad Amelia. Era viva, ma, ancora una volta, aveva scelto Amelia. Il sangue mi ribolliva nelle vene, io non contavo niente per lei. Avevo passato un anno intero a struggermi per nulla. La odiavo. Aveva scritto che era andata via perché non ci sopportava più, che stronza.
Amelia mi abbracciò con slancio, la scansai e cominciai a correre. Correvo e piangevo, non sapevo dove stessi andando, troppe erano le cose che mi frullavano per la testa.

Non ebbi il coraggio di parlarne con nessuno. Sapevo di non avere il diritto di tenere un segreto così grande per me, ma ero troppo ferita dal comportamento di mia sorella.
Non valeva la pena continuare a struggermi per lei, dovevo mettermi l'anima in pace.

Non avevo bisogno di lei per essere me stessa. Da quel giorno avrei smesso di piangere per quell'egoista di mia sorella, non meritava nemmeno una delle mie lacrime.

If I were youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora