Lo strinsi più forte a me cingendogli le spalle. Fu un tacito invito a lasciarsi andare e i singhiozzi presero a farsi più gravi mentre, col capo poggiato sul mio petto, mi sconquassava col suo pianto. Ognuno di quei lamenti un riverbero nella mia cassa toracica; l'onda di un sasso gettato nello stagno che via via si propagava fino a raggiungere ogni frammento del mio corpo. Con la guancia posata sulla sua testa, presi a dondolare dolcemente, cullandolo tra le mie braccia con moto lento e silenzioso. Restai ad ascoltare il dolore che fluiva copioso dai suoi occhi serrati. Calde lacrime mi inumidirono la maglietta. Il tepore dei nostri corpi abbracciati laddove il gelido pavimento del bagno ci ricordava che eravamo vivi, noi, fatti di carne e sangue. Si aggrappò con decisione alla mia schiena, allentando il tessuto della maglia. Ci si aggrappò come fosse l'ultimo appiglio rimastogli. Non lo avrei lasciato mai. Quell'abisso non l'avrebbe inghiottito e se l'avesse fatto, mi sarei gettato con lui.
La posizione non mi permetteva di guardarlo in volto eppure non ce n'era bisogno; innumerevoli volte avevo osservato quel viso contorcersi in una smorfia sofferente fino ad andare in frantumi, rotto dalla disperazione. Chiusi gli occhi, appoggiando docilmente il mento sulla sua testa. Il suono straziante di un pianto trattenuto troppo a lungo gli sfuggì dalle labbra, saturando la piccola stanza che ci conteneva; un mondo a parte le cui pareti sembravano voler collassare su loro stesse, imprigionandoci. Strizzai gli occhi di riflesso, serrando la mandibola come a voler parare un colpo che non riuscii comunque ad evitare e che mi trafisse il cuore. Inspirai profondamente e le mie dita si strinsero salde alla sua spalla mentre con una mano attraversai i suoi capelli di seta, accarezzandogli la testa. I miei shh shh sussurrati si unirono ai suoi singhiozzi. Non mi importava sapere cosa l'aveva fatto crollare stavolta; me ne avrebbe parlato in seguito. Ora volevo prendere parte a quell'angoscia e farla mia; dividerla in due cosicché il suo carico diventasse più leggero.
Con gesto stanco si mosse per asciugare le lacrime mentre io, imperterrito, continuavo a cullarlo; era il mio piccolo Taehyung. Lo era sempre stato. Finalmente potei scorgere quel volto rigato dalle lacrime; il naso arrossato; le labbra purpuree dai contorni accentuati. Gli scostai con quanta più delicatezza possibile una ciocca di capelli dorati e gli accarezzai la guancia. Non ebbe il coraggio di alzare la testa ed incrociare il mio sguardo. Non gli chiesi di farlo; volevo rispettare la sua dignità. Ma sapevo anche che avrei ceduto nell'esatto istante in cui i nostri occhi si fossero rispecchiati gli uni negli altri. Ammirai quelle ciglia infinite che, bagnate, creavano un'ombra sugli zigomi. Piccole scosse attraversarono il suo corpo e poi il mio, come fossimo ormai un unico grande ammasso di disperazione, mentre lentamente la violenza del pianto si faceva meno impetuosa, dandogli modo di riprendere fiato. Quel corpo solitamente possente, ora, racchiuso tra le mie braccia sembrava quello di un bambino che scopriva quanto ingiusta e amara potesse essere la vita. Osservai il suo petto alzarsi ed abbassarsi velocemente nell'atto di respirare. Una scena che mi era così familiare; dopo ore di prove faticose o come esito di una notte d'amore. Scivolai con la mano sul suo braccio fino a raggiungere le sue dita ed intrecciarle alle mie. Non strinse la presa; percepii distintamente tutta la stanchezza, tutto il vuoto che lo stavano divorando. Il mio cuore perse un battito e con il pollice iniziai ad accarezzargli il dorso della mano. Ed ecco che ad un tratto fui assalito dal terrore. Sarei mai riuscito ad essere abbastanza? Sarebbe arrivato il giorno in cui la mia presenza non avrebbe fatto alcuna differenza? Sentii gli occhi bruciare e dovetti mordere l'interno della guancia per non perdere il controllo. Non potevo permettermi di essere debole, non ora. Ma avevo bisogno di sapere. Mi liberai dalla presa e gli sollevai il mento fino a far congiungere i nostri sguardi, incurante della sua vergogna. Eravamo noi. Nessun giudizio o rimprovero sarebbe traboccato dalle mie labbra. Fu una vista meravigliosa e tragica. Imbarazzo e tormento mi fissarono. Mi abbassai leggermente, posando un bacio sulla fronte del mio amore e quando tornai a scrutare quei suoi occhi color dell'ebano mi resi conto che la pesantezza dell'essere era stata spazzata via, messa da parte da qualcosa. Solo momentaneamente, forse. Ma quello spiraglio, quel varco era tutto ciò che mi bastava per afferrarlo forte e riportarlo al sicuro, con me. Anche stavolta saremmo tornati indietro, insieme.
Salvi.