Me lo sussurrò all'orecchio, sporgendosi fino quasi a sfiorare il lobo con le labbra. Il suo respiro caldo mi solleticò la pelle e quelle parole –dormiamo insieme stanotte– lasciate scivolare nel più candido dei modi, sembrarono allo stesso tempo una richiesta e un comando. Sentii il battito accelerare e la gola farsi secca mentre, voltandomi nella sua direzione, ancorai i miei occhi ai suoi. Non aggiunse altro se non un sorrisino divertito e provocante, con lo sguardo di chi sa di avere la situazione in pugno. Mi lasciò così, in piedi in mezzo al salotto illuminato dalla luce soffusa dei neon, mentre saliva la rampa di scale nell'atto di raggiungere la sua stanza; consapevole che solo un attimo più tardi avrei percorso quegli stessi passi, seguendo la sua scia. Mi girai istintivamente verso quella che sarebbe dovuta essere la mia camera da letto; la porta chiusa oltre la quale Jungkook dormiva già da un po' in una di quelle sue posizioni strambe. Non dovetti né scegliere né soppesare il suo invito: avevo già preso una decisione nell'istante stesso in cui aveva bisbigliato, suadente e persuasivo, di trascorrere la notte accanto a lui.
Varcai la soglia della stanza e me lo ritrovai davanti, seduto sul letto matrimoniale e sebbene l'ambiente fosse avvolto nella semioscurità, scorsi un lieve sorriso sul suo volto come a volermi ringraziare per averlo raggiunto. Stava lì a fissarmi, troppo accaldato per indossare il pigiama. Mi avvicinai con passo silenzioso tendendo una mano che fu subito accolta nella sua. Di riflesso, il mio sguardo vagò verso l'angolo della stanza in cerca della luce della telecamera ma non vi trovai nessun led rosso. Jimin capì e mi rassicurò di aver già spento quegli occhi indiscreti che ormai erano parte integrante ed inscindibile della nostra vita e troppo spesso non ci lasciavano modo di abbassare le difese, di gettare la maschera, costringendoci a misurare gesti e parole.
Scivolammo a letto e sentii le sue mani avvolgermi saldamente la vita, tirandomi a sé. Mi baciò sulle labbra con fare giocoso ed ingenuo ed i baci diventarono presto sorrisi mentre lasciavamo a briglie sciolte le mani, sfiorandoci ed accarezzandoci. Sapevo non ci saremmo spinti oltre -Seokjin dormiva poco distante da noi- ma non aveva importanza; bastava averlo al mio fianco, inebriarmi del suo profumo e concludere così la serata trascorsa insieme a girovagare per le strade di un'isoletta sperduta nel Mediterraneo. Lo baciai, spinto dal bisogno di sentire di nuovo le nostre labbra unite, assaporando la sua lingua, lentamente... I movimenti, ordinati e armoniosi, frutto di centinaia di baci già scambiati in altrettante centinaia di notti. Non c'era fretta in quei gesti; era la nostra buonanotte sussurrata e sospirata tra una coccola e l'altra.
Poggiai la testa sul suo petto per farmi accarezzare i capelli e chiusi gli occhi. Il respiro profondo di Jin, considerevolmente ubriaco, si mescolava al fruscio di sottofondo dell'aria condizionata. Mi concentrai sul battito calmo di Jimin che mi rimbombava nell'orecchio mentre percepivo la testa andare su e giù, sospinta piano dal suo respiro rilassato. Fui pervaso da un senso di riconoscenza; la stessa che provavo ogni giorno quando i miei occhi si posavano su di lui. Eppure non riuscivo ad abituarmi a quel sentimento sebbene lo rivivessi ad ogni parola d'incoraggiamento ricevuta, ad ogni abbraccio di conforto nei momenti più pesanti. Quella sensazione di gratitudine continuava a rigenerarsi all'infinito senza perdere d'intensità e sentii un lieve pizzicore farsi strada all'altezza del naso fino a raggiungere l'angolo degli occhi. Erano stati giorni spensierati quelli a Malta ma gli avvenimenti della settimana precedente erano stati duri da accettare e metabolizzare e continuavano a gravare sul mio cuore anche qui, a chilometri e chilometri di distanza da casa. Ma lui era il mio porto sicuro. La persona da cui tornare ogni volta mi fossi sentito privo di difese. Non fosse stato per Jimin probabilmente non avrei trovato quell'ultimo briciolo di coraggio che mi serviva per cantare in una piazzetta davanti ai turisti, quella sera.
Mi spostai, affondando il viso tra la sua clavicola e il collo e lo mordicchiai scherzosamente solo per il gusto di sentirlo ridacchiare a quel contatto. Ma avrei voluto spingermi oltre. Avrei voluto farlo mio; donarmi completamente a lui e amarlo come meritava di essere amato perché quello era l'unico modo con il quale potevo fargli comprendere appieno quanto indispensabile fosse per me. Di nuovo, sentii gli occhi riempirsi di lacrime e quella sensazione di gratitudine esplodermi nel cuore e sopraffarmi. Chi avrei dovuto ringraziare per quell'incontro? Il Destino? Un Dio? L'Universo? E soprattutto, meritavo veramente di averlo nella mia vita? Sembrò percepire la mia domanda inespressa e mi accarezzò delicatamente la guancia, come a voler calmare il mio tumulto interiore e subito mi sentii più leggero. Quel semplice gesto aveva spazzato via ogni dubbio, ogni preoccupazione. Sì, meritavamo di essere insieme. Meritavamo di condividere questa vita a tratti insopportabile. Poco importava a chi avrei dovuto dire grazie per questa fortuna.
