11 - EVA, una canzone per te

1.3K 125 145
                                    



"... diversi perché gli altri ci vedono tali, non perché lo siamo."


Sono le sette del mattino e io sono per strada. Cade grandine dal cielo delle dimensioni di palline da ping-pong che rimbalzano sui tetti e sui parabrezza costringendo me e i pochi idioti come me che vanno a piedi su via di Marmorata a scansarsi al volo o a prenderla in faccia.

Raggiungo fradicia piazza dell'Emporio e mi ficco sotto al portico di un palazzo che ha il portone aperto.

Un clacson suona acuto e le gomme di un'auto stridono sul bagnato e pare che si prospetti un maxi-tamponamento ma non è così: è la Golf Cabrio di mio fratello che ha inchiodato in mezzo alle rotaie del tram e si sbraccia perché lo raggiunga. Preparo una balla credibile e mi lancio in auto prima che una palletta ghiacciata dal cielo mi centri in pieno con un rovescio da punto.

Salgo e inzuppo il sedile in un secondo, scanso il cappuccio della felpa che ormai è inservibile e cerco di sembrare tranquilla: «Wow, che fortuna che passavi di qui proprio adesso! Ora che non hai più la moto vai all'università in macchina?».

Lui fa una smorfia severa e intanto fissa il tergicristallo che lotta contro le mazzate di grandine fiaccando sul levare e gemendo sul battere.

«Ma fammi capire una cosa: da quanto tempo è che vai a scuola a piedi?»

Mi fingo impegnata a strizzare le maniche della felpa e lui svolta sul Lungo Tevere e prosegue per Piazza Cavour.

«Allora?»

«Mica vado a piedi. Ma oggi la metro era rotta», mento. «Tipo che si è allagata, mi pare.»

Marco costeggia via Crescenzio a due all'ora: «Eva, hai detto a mamma che l'autobus non passava, ieri. Lo sai che rischi la prigionia se continui a fare tardi ma preferisci farti punire a vita piuttosto che prendere la metro».

«Scusa ma perché sei così interessato ai mezzi di locomozione che scelgo? Posso capire la mamma che è straripante di pregiudizi razziali e pensa che l'autobus sia pieno di germi portati dall'estero, anche se non vedo come possa escludere la metropolitana da questa equazione, ma tu.»

«Io ho i miei buoni motivi per chiedertelo. Rispondimi».

Okay, piano B.

Tutto d'un fiato: «Beh, sai la storia che ha coinvolto pure il padre della tua ragazza? Da quando hai detto a tavola che una ragazzina bionda e grassottella si è buttata sotto alle rotaie della linea A, non ho più il coraggio di salirci», fuori il fiato.

Ecco fatto, da domani mi farà da autista se l'ho mosso a compassione.

Marco slaccia la cintura, si volta e afferra una felpa asciutta, sua e extralarge dal sedile di dietro. Me la passa e aspetta che la infili. Non voglio andare in classe con uno scafandro, essere albina e fradicia mi sembra abbastanza, rischio di seminare il panico nei corridoi, di generare un esodo biblico. E sul retro della felpa c'è la sagoma di una testa di lupo, insomma il simbolo della Roma. Non ci posso andare a scuola, lì l'unica testa che indossano è quella di un teschio. Lui è irremovibile, ha bloccato la portiera col braccio. Me la metto e poi me la levo all'entrata, mi dico. E intanto slaccio la mia.

Dice: «Né io né i giornali abbiamo mai detto che la ragazzina era bionda e grassottella, hanno pubblicato una micragnosa foto in bianco e nero della faccia per miracolo».

Deglutisco, ho la sua felpa sulla testa, se mi fermo non vedrà la mia espressione sconvolta.

Lui tira la felpa e calza il collo.

♦ INSOLITA EVA ♦Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora