5 - MANUEL, la mia ragazza di zucchero

1.4K 144 96
                                    



"Non so vivere né con te, né senza di te"

"See the stone set in your eyes
See the thorn twist in your side
I wait for you.
Sleight of hand and twist of fate
On a bed of nails she makes me wait
And I wait, without you

With or without you

Through the storm we reach the shore
You give it all but I want more
And I'm waiting for you

With or without you
I can't live
With or without you"

U2


A mezzanotte e quaranta ci troviamo ad attraversare a piedi il ponte di ferro, davanti al Gazometro, sulla Ostiense. Trasportiamo gli strumenti sulle spalle, comprese le valige rigide con gli amplificatori, una fatica pazzesca. Siamo a pezzi, il concerto è andato avanti per ore e la sala del locale aveva una pessima acustica, le casse stridevano, la mia testa ha preso a girare come un disco rotto.

Massimo in coda alla fila fa una pausa. Col fiato mozzo dice: «Raga', fermateve un attimo. Mi sembro un mulo da soma».

Il ponte non ha illuminazione, stanotte, le macchine ci sfrecciano accanto.

«Non possiamo fermarci qui», dico.

C'è Fabrizio che sulle spalle s'è caricato il basso e pure le tracce dell'impianto elettrico, sta imprecando da venti minuti.

«C'ha ragione, qua ci arrotano. Fermiamoci al MOMA.»

Il MOMA è un posto. Sì, un centro sociale messo in piedi nella radura intorno alla marrana del Tevere, nei pressi del Gazometro che ci si affaccia davanti come ci planasse sopra. Lo frequentano i musicisti in bolletta, i barboni di Piramide, gli immigrati del centro più a sud, e poi quelli che scappano dalle guardie dopo aver imbrattato gli sportelli della metro o le mura di cinta del parco che era stato ripulito. A noi piace, la birra costa cinquecento lire, le sedie sono gratis e c'è sempre qualcuno che canta. Ma questa serata è storta come una legatura.

Massimo fa un respiro così acuto che riesco a connotarlo, era un do.

«Che palle, Fabri', è un altro chilometro a piedi. Co' 'sto MOMA, solo perché ti piace quella che cuoce le pannocchie sul barbecue.»

«Non cuoce pannocchie», replica Fabrizio, «sta alla griglia, e quelli danno da mangiare pure agli sfollati, so' gentili, scusa cinquemila lire e ti danno due salsicce, tre wurstel e una mezza pinta».

«Ma perché, c'hai fame?»

«Oh, quella c'ha una voce strepitosa, dovremmo assumerla. E mangeremmo aggratise a vita!»

Mi inserisco, sono stufo, «Ci muoviamo?».

Alessia e Chiara si sono accomodate per terra, col culo sull'asfalto e la schiena contro la travata metallica del ponte.

«Coriste!», esclamo, «In piedi. Qua è pericoloso».

Loro sbadigliano, ridono, ancheggiano per sgambare le gonne sull'inguine.

Alessia trascina la voce e il suo accento latino si fa acuto: «Amor, prendimi in braccio».

Assesto l'involucro della chitarra contro la spalla destra e nella mano sinistra stringo il manico della valigia con l'amplificatore, «Non posso, come vedi».

«Amor, io sono stanca», replica divertita e fastidiosa insieme producendo una specie di sonetto neomelodico.

«No, tu sei ubriaca, tirati su», poi osservo sua sorella, «Chiara, dai, tirati su pure te».

♦ INSOLITA EVA ♦Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora