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Levi camminava davanti a me a passo veloce, facendosi strada fra la boscaglia fitta.

Mi aveva fatto uscire dal suo villaggio bendandomi gli occhi, sicuramente prendendo una strada laterale – per non farmi vedere – e, comunque, tenendomi stretta al suo petto, così da celarmi il viso.

Tali accuratezze non facevano altro che farmi ricordare quanto quei lupi volessero uccidermi, se solo avuta la possibilità.

Mi guardai intorno, osservando quello sprazzo di natura, quasi del tutto congelato dal freddo in arrivo: ormai, i rami erano spogli, mentre piccoli frutti marcivano sul terreno rigido, a tratti ghiaioso.

Stavamo camminando da almeno una decina di minuti, forse più, e Levi non sembrava voler accennare a continuare, cosa che non mi faceva così piacere.

Ero stanca, molto, nonostante avessi dormito per ore, e quella passeggiata improvvisa non faceva che peggiorare la situazione.

Per non parlare del fatto che, improvvisamente, ogni rumore, perfino il più naturale, al mio udito suonava solo come un principio di un prossimo attacco.

Non mi sentivo al sicuro, nonostante la presenza di Levi: alla fine, anche lui voleva uccidermi, o no?

"Marie."

Sussultai, sorpresa nel sentire di nuovo il mio nome dopo quella che mi era sembrata un'eternità: nessuno aveva mai voluto concedermi la gentilezza di chiamarmi senza una presa in giro.

"Ci sono," assicurai, avvicinandomi al lupo, fermo a pochi passi da me, in attesa.

Lui non sembrava stanco, ma, alla fine, non sarei nemmeno dovuta esserne sorpresa: i lupi sono forti, abili e, soprattutto, non muoiono facilmente, figurarsi stancarsi.

Levi corrugò la fronte, lanciandomi un veloce sguardo, quasi si stesse accertando della mia visibile instabilità: non lo sapeva ma, molto presto, ero sicura che sarei finita per accasciarmi in qualche angolo del sentiero.

"Pensavo che voi umani foste più resistenti," commentò, quasi a risposta dei miei sentieri, ed io mi limitai ad una smorfia, appoggiandomi ad un albero vicino.

"Io invece ero certa della vostra non cortesia."

Accennò ad un sorriso, sarcastico, e poi si pulì il viso con il dorso della mano, più per uno stimolo meccanico che per un reale bisogno. "Sono certo che questa tua lingua velenosa non piacerebbe nemmeno dall'altra parte del muro."

Strinsi le labbra, sentendomi ancor meno felice di pochi istanti prima.

Ancora, la mia mente stava andando oltre quel muro, dove, probabilmente, ora giaceva il corpo esamine di Garreth, il mio fidanzato.

Lui sì, che non avrebbe apprezzato la mia parlantina così ineducata, e lo stesso sarebbe valso per mio padre.

"Preferisco non pensarci."

Levi corrugò la fronte, sorpreso da quella mia presa di posizione, sicuramente non troppo scontata per una prigioniera.

Quando mai una nelle mie condizioni rifiuterebbe di parlare di ciò che ha abbandonato?

Non era accettabile, eppure, per me, valeva questo: pochi giorni mi erano bastati per perdere completamente la testa.

"Beh, dobbiamo continuare," disse, infine, in un sospiro.

Annuii, ma, quando ormai ero pronta per riprendere il cammino, Levi si sporse verso di me, afferrandomi per i fianchi in modo fluente e issandomi sopra la sua spalla destra, quasi come un sacco di iuta.

ECLIPSEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora