11.

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Avrei dovuto immaginare che Levi non mi avrebbe mai ascoltato, ed infatti non si tradì nemmeno in questa occasione: mi seguì, ad ogni passo, fin quando non rientrammo nella sua abitazione, ed io non avevo più possibilità di fuga.

Questo sembrò non bastargli comunque.

"Marie." Levi mi afferrò la mano, veloce, e mi tirò verso di lui, sperando che io avessi il coraggio – e la voglia – di ascoltarlo: in realtà, non era esattamente così.

"Non ho voglia di parlare, Levi," ammisi, semplicemente, sperando di riuscirmi a liberare dalla sua presa, ma lui mi teneva con forza, continuando a fissarmi dritta negli occhi, quasi a farmi capire che non mi avrebbe lasciato scampo.

Su questo, non avevo certo dei dubbi.

"Si può sapere cosa ti prende?" Chiese, duro, continuando a stringere le sue dita intorno al mio polso magro, mentre io ancora cercavo di divincolarmi. "Non era mia intenzione ferirti, se è questo il problema."

Mi bloccai, rialzando lo sguardo su di lui, sostenendo a stento il verde scuro delle sue iridi, tormentato come lo era il cuore del lupo. Avrei voluto che non fosse uno sbaglio il perdermi così facilmente in questi.

"Non mi hai ferito," lo informai, diretta. "Sarebbe stato più facile."

Levi alzò un sopracciglio, perplesso. "Quindi il problema è che sono stato troppo gentile?"

Sospirai, esausta, inumidendomi appena le labbra mentre continuavo a pensare, pensare e pensare, sperando che la risposta giusta comparisse nella mia mente. Non fu così. "Il problema è che noi due non dovremo essere amici."

Amici.

Non c'era termine più sbagliato per descrivere tutto ciò che provavo, ma, almeno per il momento, non avevo il coraggio di parlarne, soprattutto con il diritto interessato.

E come farlo? Come ammettere che, anche se solo per pochi istanti, i battiti del mio cuore erano solo per lui? Che l'averlo vicino non era un problema ma che, anzi, avrei voluto che fosse di più.

Il solo fatto di provare cose simili andava contro ogni singolo principio a cui ero stata educata, il solo provarlo mi rendeva degna della condanna a morte nella mia fazione e non avevo idea di cosa mi avrebbero fatto in questo posto.

Ero una pedina, un'amica, una nemica, una prigioniera, ed ora una povera confusa.

Mi detestavo, sinceramente.

"Marie?"

Levi mi chiamò ancora, guardandomi con preoccupazione, non riuscendo a capire i miei silenzi – in realtà, questo mi sorprese, dato che solitamente lui sembrava essere sempre un passo davanti a tutti.

Forse fingeva di non capire, forse non voleva capire: se fosse stato così, lo avrei sicuramente giustificato.

Tirai le labbra, cercando di calmarmi, e poi allungai la mano verso la sua tempia, dove la ferità sembrava ormai sparita, non lasciando nemmeno una cicatrice. Levi rimase fermo, mentre io sfioravo le punte dei suoi capelli, e le sue labbra erano leggermente socchiuse quasi non riuscisse a contenere la sorpresa.

La sua presa si fece più delicata sul mio polso, mentre il suo pollice accarezzava, quasi per sbaglio, la mia pelle.

"Vorrei che le mie ferite guarissero così facilmente," ammisi, sinceramente, allontanandomi da lui. "Deve essere più facile ricominciare."

"Ti riferisci a Garreth?" Chiese lui, confuso. "Non stiamo parlando delle nostre famiglie, Marie."

"Forse dovremo," ribattei, dura, sostenendo la sua perplessità. "Tu hai praticamente spiato la mia intera vita, mentre io non so nulla di te. Mi chiedi di fidarmi, ma alla fine vuoi rimanere un estraneo."

Parole che pensavo, ma che comunque non avrei dovuto dire, perché, in realtà, della famiglia di Levi non mi interessava affatto – non come mi interessava di lui – ma avevo bisogno di una via di fuga, e quella era una delle poche che sapevo avrebbe funzionato.

Il lupo corrugò la fronte, colpito dal quel cambio di argomenti, ma non si oppose, allontanandosi da me e lasciandomi finalmente libera. "Non c'è molto da dire sulla mia famiglia: mio padre è morto in battaglia, mia madre ha preso il suo posto come alpha, mio fratello maggiore è in prigione e, per quanto riguarda Cameron, sai bene cosa è successo."

"E di te?" Lo incalzai, mentre si sedeva sul letto, tenendo le gambe tese davanti a sé, sempre così rigido. "Di te non parli?"

"Dipende cosa vorresti sapere, piccola umana," mi prese in giro, facendo un piccolo sorriso.

Mi sedetti al suo fianco, coscia contro coscia, mentre Levi faceva finta di non vedermi: sembrava dolce, quando si comportava così – un ragazzo che cercava di fingersi coraggioso.

"Dipende cosa vorresti dirmi."

Si voltò verso di me, guardandomi quasi con curiosità, nascondendo un piccolo sorriso prima di tornare a fissare le sue mani, improvvisamente imbarazzato. "Sono il secondo nella linea di successione, subito dopo Kiran, cosa che non mi è mai dispiaciuta, dato che odierei essere l'alpha."

"Ma i lupi non dovrebbero ambire a quella carica?" Chiesi, confusa.

"Beh, io," ribatté lui, sorridendo. "Non mi interessa comandare e, in realtà, ormai anche combattere è diventato stancante, soprattutto quando devo farlo per qualcosa in cui non credo affatto, come i sogni di gloria di mia madre."

Corrugai la fronte, confusa. "Quindi tu sei contrario alla guerra?"

Scosse le spalle, tranquillo. "E' inutile combattere per il vuoto: noi abbiamo i boschi, voi le vostre città, perché passare le nostre giornate a odiarci quando potremo soffermarci sul prosperare? Sai, certe volte, tutto ciò che vorrei è andarmene da qui e ripartire da capo. Una nuova famiglia, un nuovo futuro, in pace."

Non sembrava così scontata come idea, dato che, ormai, tutti vivevano per quella guerra: Levi era la prima persona che avessi conosciuto senza questo desiderio, proprio come me.

Era strano, ma non mi sorprendeva così tanto: in fondo, ormai il destino sembrava cercare di farmi impazzire completamente.

"A me piacerebbe vedere il mare," ammisi, così, appoggiandomi con la schiena al muro, facendo un piccolo sorriso. "Ne ho letto su un libro, ma non l'ho mai visto. Dicono che, d'estate, si possa camminare a piedi nudi sulla sabbia, e che questa è molto più soffice della neve. E poi pensare di poter nuotare, di poter essere al centro di tutta quella immensità...deve essere fantastico."

"Oppure spaventoso," aggiunse lui, sorridendo.

"Sì, anche spaventoso," concordai. "Per questo non ci andrei mai sola."

Levi continuava a guardarmi, sorridendo, quasi fosse divertito, e poi si voltò verso di me, incrociando le gambe, e sporgendosi verso di me, curioso. "Beh, magari, un giorno, io avrò la mia pace e tu la tua immensità."

"Non sarebbe male," commentai, mentre lui mi scosta le punte dei capelli dalle spalle, così da potermi guardare meglio. "Ma, almeno per il momento, ho già avuto la mia piccola vittoria."

Lui corrugò la fronte, confuso. "Di che cosa parli?"

Sorrisi, divertita. "Ho scoperto che anche un essere cinico e cattivo come te ha un cuore."

Levi sgranò gli occhi, sconcertato, non riuscendo affatto a trattenere la sorpresa, mentre io continuavo a ridere di lui.

"Avanti, lupo: puoi prenderlo come un complimento."

"Hai davvero un'idea contorta di complimento, umana," commentò, rimettendosi in piedi e prendendo il giubbotto dallo schienale di una sedia. "Forse ancora più pessima della mia."

"Almeno so che c'è qualcuno che mi capisce."

Il lupo si chiuse la zip, girandosi ancora verso di me, confuso. "Io devo andare a controllare i confini, penso di tornare questa notte."

"Pensi?" Chiesi, subito, e lui strinse le labbra, colpito dalla mia preoccupazione.

In realtà, non era l'unico.

"No," ribatté, con cura: "tornerò."

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