Furono giorni lenti. Ore che si accavallavano l'una all'altra con ritmo snervante, ticchettii quasi immobili e tanto vuoto. Non so cosa fosse davvero accaduto tra noi, ma adesso sembrava ci fosse un muro di ghiaccio a dividerci, ad allontanarci e a congelarci. Si, perchè nonostante il sole caldo battesse sulla nostra pelle ogni singolo giorno dentro il freddo si faceva sentire più forte che mai. Lui evitava me, io evitavo lui, non una parola. Ne soffrivamo? Sí. Eravamo felici? No. O almeno, io non lo ero. E anche lui sembrava portarsi addosso un'amara tristezza. Aveva sempre avuto quell'aura di mistero, c'era qualcosa di profondamente triste in lui, c'era sempre stato. Ma ora sembrava accentuato. Quella parvenza di dolore risuonava nelle occhiaie da qualche giorno un po' più scure, da quei movimenti un po' meno agili e da quei sorrisi sempre troppo tirati. No, non stavamo bene. Io dal canto mio non uscivo spesso di casa, e preferivo passare le mie giornate chiusa in camera, o in giardino, al massimo uscendo la sera per guardare quella miriade di lucine biancastre che tanto adoravo veder brillare nel cielo, quasi come una certezza. Non ne avevo più di certezze. Chi ero io? Cosa ne stavo facendo della mia vita? Stavo consumando giorni, come se fossero una sigaretta. Stavo lasciando che il tempo la bruciasse fino al filtro senza aspirare mai. Dovevo fare qualcosa per migliorare la situazione, ma l'unica cosa che riuscivo a fare era chiudermi in me stessa. Era un forte periodo di chiusura quello, per me. Difficilmente avrei lasciato entrare qualcuno, nonostante le buone intenzioni. Pablo sembrava averlo capito, non insisteva per vedermi o farmi compagnia, accettava i miei sbalzi d'umore e le mie paranoie e pur sapendo che era un comportamento lodevole, il suo, non riuscivo a non sentirmene infastidita. Perché non ero ancora riuscita a mandarlo via? Era troppo buono con me, troppo comprensivo... semplicemente troppo. Era un troppo che non avevo chiesto, che non meritavo e che onestamente non volevo. Ecco, l'ho detto. Ci avevo pensato tante volte in quest'ultimo periodo ma non riuscivo a pronunciare davvero queste parole, anche solo dentro di me. Io non volevo lui. Più sentivo la loro eco dentro me più iniziavo ad odiarmi, perché sapevo che era stupido e sbagliato e che non avrei dovuto sentirmi così, che avrei dovuto accettare tutto ed essere felice per una volta nella mia vita. Accontentarmi, almeno per una volta. Ma non potevo. Non ci riuscivo. Eppure, per quanto male potessi provare a comportarmi, per quanto mi chiudessi e per quanto cercassi di allontanarlo lui restava lì, con quel suo sorriso rassicurante. Non andava via, la sua dolcezza restava intatta e niente sembrava scalfire quella sua gentilezza che non meritavo. Non la meritavo perché non la volevo, e quindi era un lusso che non poteva essermi concesso. Era tutto così dannatamente sbagliato. Ma c'era davvero qualcosa di giusto o sbagliato in amore? Siamo tutti schiavi di emozioni e di sentimenti racchiusi dentro fiale di cristallo, troppo fragili e troppo facili da distruggere. L'amore è qualcosa di difficile, qualcosa di incomprensibile, l'amore è testardo, è feroce, è appassionato, è doloroso, è distruttivo. Eppure, è la forza motrice del mondo. Senza di esso non saremmo nulla, ci limiteremmo a vagare incessantemente per terre che non riusciamo neanche ad apprezzare, ci perderemmo il doppio, se non il triplo, di quanto già non facciamo. Nonostante tutto, sarebbe stata la mia scelta. L'amore sarebbe stata la strada da seguire.
Quella sera faceva fresco. Mi avvolsi in una coperta di cotone finissima, ma calda abbastanza da non farmi infreddolire. Non volevo stare dentro. Volevo guardare le stelle. Quei puntini luminosi mi avevano sempre affascinato, ogni volta che alzavo gli occhi al cielo non riuscivo a non sentirmi appagata, quasi gratificata. Era come se il peso di tutta la giornata potesse alleviarsi anche solo sollevando lo sguardo, come se quelle piccole calamite brillanti riuscissero a tirare via tutto il malumore, le incertezze, i "non ce la farai mai". Scesi le scale in punta di piedi per non svegliare nessuno. Era già mezzanotte passata e nella villa aleggiava un silenzio così puro che non volevo assolutamente produrre alcun rumore. Volevo godermela, quella tranquillità. Il bagliore della luna abbracciava ogni cosa, lasciando libere un'infinità di ombre. Strinsi la coperta al petto, quasi a cullarmi, e mi diressi fuori. La brezza fresca mi scostò i capelli dal volto. Tutto era scuro, il cielo blu era limpido, non una nuvola. La visuale era mozzafiato. Chiusi gli occhi per qualche secondo, lasciando che l'aria della notte mi avvolgesse completamente, poi li dischiusi lentamente, rivolgendoli a quel meraviglioso manto stellato. La mia mente cominciò a vagare senza sosta da un pensiero all'altro, ma non pesavano. Mi sentivo leggera, stavo bene. Inspirai a fondo, godendomi quella sensazione. Non c'era spettacolo più bello di quello. D'un tratto, una luce rigò il cielo, così luminosa da farmi stupire, come una bambina, ammaliata dalla magia che sprigionava una stella cadente. Devi esprimere un desiderio, Valerie. Lo sai che funziona così. Mi ricordai in quel momento la voce di mia madre, quando le vidi per la prima volta. Ero una bambina così piccola, indifesa... con un'infinita dolcezza da preservare e custodire. Chiusi gli occhi, ripensando alla me bambina, e pensai. Sapevo cosa avrei chiesto. Espressi il mio desiderio."A quanto pare neanche tu riesci a resistere al loro fascino" fu poco più di un sussurro, ma bastò per far fare una capriola al mio cuore. Seduto accanto al muretto, a pochi metri di distanza da me, c'era lui, nell'ombra. Sembrava rilassato, come se avesse tutto il tempo del mondo. Quando i miei occhi incontrarono i suoi il battito aumentò sempre di più. Mi era mancato. Fissai quel ricordo nella memoria, lasciai che la sua immagine mi riempisse il cuore, e la sua voce calda mi riscaldasse l'anima. Non parlavamo direttamente da giorni. Aveva funzionato. D'istinto, gli sorrisi, abbassando un po' lo sguardo quando lo vidi ricambiare. Lui si scostò di poco, facendo spazio anche a me, senza però pretendere che mi avvicinassi. Il suo era un tacito invito, ma mi stava lasciando carta bianca. Senza neanche pensarci troppo, senza avere il comando del mio stesso corpo, i piedi si mossero e mi ritrovai seduta vicino a lui. Era da tanto che non stavamo vicini. Lasciai che le braccia si sfiorassero, così come le ginocchia, e per un attimo, nonostante il freddo fosse sparito, un brivido mi attraversò il corpo. Ora ero felice. Volevo abbracciarlo, stringerlo e dirgli quanto mi mancasse. E, come succedeva sempre tra noi, lui sembrò percepirlo. Mi passò un braccio dietro la schiena, accarezzandomi piano la spalla, stringendomi a sé. Immediatamente io mi accoccolai tra le sue braccia forti, come avevo sempre fatto, rifugiandomi in quello che per me era il vero significato della parola casa. Restammo così, in silenzio, per un po', a guardare le stelle sopra di noi, riscaldandoci a vicenda, la mia testa appoggiata sul suo petto, cullata dal suo battito regolare, le mie gambe nude posate sulle sue, le mie mani che giocavano con l'orlo della coperta che ci avvolgeva e le sue che accarezzavano dolcemente la mia schiena. In quel momento, fu come se ci fossimo riappacificati, tutto andava bene. Era questo il profumo dell'amore.
"Perdonami, Vale" sentii la sua voce incrinarsi un po' e il mio sguardo preoccupato si posò immediatamente sul suo. Mi stupii. Aveva gli occhi lucidi, il labbro che tremava. Non lo vedevo in questo stato da quel giorno in ospedale. Lui, il mio scudo, la mia forza, la mia roccia, il mio faro. Si sforzava sempre di essere forte e stare bene. Difficilmente si lasciava guardare mentre piangeva, e ora si stava spogliando della sua maschera di fronte a me. Le mie mani corsero subito ad accarezzargli le guance, stringendolo verso di me, mentre sentivo le sue lacrime sulle mie dita.
"Shh, va tutto bene" continuavo a ripetergli, cullandolo e tenendolo vicino al mio petto, e lasciando che lui stringesse la presa, che si accucciasse come poco prima avevo fatto io, che mi sentisse vicina. "Siamo insieme ora" sussurrai piano, così piano che non sapevo se l'avesse sentito o meno. Restammo abbracciati, confortandoci a vicenda, imprimendo quel momento nell'anima, per quando il freddo sarebbe tornato. Scambiandoci tutto l'amore di cui avevamo disperatamente bisogno, colmando tutte le carenze e cancellando tutti gli errori. Quando finalmente ci calmammo, lui si scostò lievemente, guardandomi dritto negli occhi e io scrutai in quell'abisso così magico e incantevole che mi aveva sempre attirato, lasciando distendere gli angoli del viso, sfiorandogli con le dita gli zigomi, le guancia, le labbra. Sapevo che voleva dirmi qualcosa. Lo conoscevo, mi bastava averlo vicino per sentire quello che sentiva lui. Lo amavo.
"Ti amo" riuscì finalmente a dire lui, all'unisono coi miei pensieri. Il suo sguardo disperato, bello e dannato, ricadde su di me. Continuai ad accarezzargli il viso, cercando di fargli smettere di avere cattivi pensieri. Sapevo che non si sentiva all'altezza. Sapevo che da una parte non avrebbe voluto il mio perdono, perché convinto di non meritarselo. Sapevo il male che si stava infliggendo, perché era lo stesso che mi causavo. Io sapevo.
"Anche io" fu un attimo, un respiro. E poi ci ritrovammo labbra contro labbra, un universo contro l'altro, uno spettacolo così stupefacente da far invidia alle costellazioni sopra di noi. L'impeto del perdono, l'amore più folle e cieco che fosse possibile immaginare, la forza di un uragano, l'impatto di un meteorite. Noi eravamo questo. Un continuo eccesso di emozioni forti, un affascinante contrasto di sentimenti e di parole, di passione. Le sue mani sulla mia pelle, le mie dita nei suoi capelli. Anima contro anima, cuore contro cuore.
Eravamo inseparabili adesso.
Eravamo legati da un filo rosso, ci saremmo sempre ricongiunti.
Eravamo uniti. Uniti in un attimo infinito.
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Credo Nel Destino
RomanceLei. Lui. Ex. Si sono odiati cosí tanto da farsi dispetti e arrivare al punto di vedersi tra i corridoi della scuola senza nemmeno salutarsi. Diventando perfetti sconosciuti. Iniziando a capire com'era vivere l'uno senza l'altro. Dopo molto, riesc...