2 · Hide and seek

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Quando il sabato seguente Levi aprì gli occhi al suono della sveglia, si prese un momento per ringraziare Dio. Erano giorni che non riusciva a dormire in modo decente, finendo con lo svegliarsi sempre ore prima del necessario.

Quella era stata la settimana peggiore della sua vita.

Perfino peggiore di quando Hanji era stata assegnata al suo stesso dipartimento e lui non aveva più potuto usare la scusa del lavoro per evitarla, quando cadeva in uno dei suoi psichedelici momenti di folle esaltazione. Perché le accadevano proprio lì, in ufficio e nessuno aveva via di scampo.

Come ogni sabato mattina, Levi si alzò, fece una colazione leggera ed uscì a correre.

Scelse di percorrere una strada diversa dal solito, che lo portò ad attraversare le piccole stradine in salita della città ancora addormentata. Tagliò la spiaggia dal proprio percorso e mise tutte le proprie forze nel tentare di non trovare una motivazione a quella decisione.

Di non pensare a ciò che era accaduto esattamente una settimana prima, esattamente in quel luogo.

Correre lo aiutava a sfogare la tensione, le energie, che sembravano non finire mai da qualche giorno a quella parte. Levi si sentiva più forte, più veloce, più sveglio, all'erta. Notava tutto. Dagli odori ai gesti di colleghi che frequentava da anni, sempre nello stesso ufficio, con le medesime abitudini, tutto gli sembrava nuovo o degno di attenzione.

I suoi sensi sembravano essere diventati tre volte più potenti ed anche a questo Levi si ostinava a non voler trovare una logica e razionale spiegazione. Si era limitato ad inghiottire soppressori ogni quattro ore per tutta la settimana, impedendo che i colleghi ed Hanji notassero differenze nel suo odore.

Correre però, stancarsi, portare il proprio corpo allo stremo delle forze, lo aiutava a sentirsi di nuovo normale, almeno il tempo necessario a chiudere gli occhi ed addormentarsi in quel letto che gli sembrava di colpo insopportabilmente freddo.

Si rifiutava di accettare che vuoto sarebbe stato un termine più preciso per descrivere quella sensazione.

Con la consapevolezza che forse sarebbe dovuto uscire a correre di nuovo quella sera, per potersi addormentare, Levi iniziò a salire lentamente i gradini che portavano verso casa. I polpacci bruciavano per lo sforzo di sollevare il corpo dopo aver sostenuto quasi due ore di corsa a passo veloce e la maglietta era appiccicata alla pelle dal sudore, così come le sottili ciocche della frangia lo erano alla fronte.

E poi, quando ormai solo una rampa lo separava dalla via di casa propria, un odore dolce e delicato lo raggiunse portato dal vento del mattino. Levi gelò, lì dove si trovava. Sgranò gli occhi sollevando la testa, la stanchezza di colpo dimenticata. Salì a due a due gli ultimi gradini, ma ebbe l'accortezza di fermarsi dietro l'angolo di una casa e spiare oltre.

Di nuovo, il respirò gli si strozzò in gola.

Seduto sul gradino davanti alla porta della sua case azzurra, c'era un ragazzo coi capelli castani.

Il ragazzo coi capelli castani.

L'unico che nella mente di Levi fosse riuscito a guadagnarsi l'articolo determinativo, la sua attenzione ed un posto nei suoi sogni, che ogni mattina si impegnava a negare a sé stesso di aver fatto.

Eren si abbracciava le gambe, tenendo il mento sulle ginocchia e fissava le mattonelle di pietra del vialetto. Sembrava molto assorto in qualche pensiero importante, al punto che a Levi parve un peccato arrivare lì e disturbarlo.

Chi cazzo credi di prendere in giro?, fu costretto a ricordare a sé stesso. Il moccioso avrebbe potuto fare tutti i maledetti pensieri filosofici che voleva da qualche altra parte. Se aveva deciso di sedersi proprio lì, sull'ingresso di casa sua, era per un motivo ben preciso.

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