Sentivo tutto il vento in faccia: era qualcosa di magnifico. Avevo solo nove anni, ma volevo vivere la vita al meglio.
Sterzai con la mia bicicletta rossa fiammante e mi diressi verso l'interno del bosco. Il profumo degli alberi, soprattutto del pino, prendeva parte di me invadendo persino il mio cuore. I lunghi capelli biondi erano davanti agli occhi, ma la vista mi consentiva ugualmente di osservarmi intorno.
Poi frenai. C'era una distesa di foglie secche da cui nasceva un grande albero.
Io lo chiamavo 'Papà Albero', perchè lì sopra mio padre aveva costruito alcuni anni prima una bellissima casetta. Salii grazie ad una scala -di quelle a pioli- posta sul tronco della pianta.
Una volta arrivato in cima, presi il cannocchiale e guardai il paesaggio intorno. Potevo osservare qualche uccello volare e il tramonto ormai calare.
Amavo la mia terra e anche se ero solo non mi fermavo di fronte a nulla. Mamma e papà mi lasciavno libero e io volevo che fosse così.
Da quell'altezza potevo osservare il mare che ogni mattina osservavo ugualmente allo specchio. Si, avevo il mare nei miei occhi. Era stata mia madre a dirmelo la prima volta, appena nato.
Sentii uno strano rumore. Mi voltai di scatto impaurito. Scrutai un piccolo cervo che era rimasto bloccato in una trappola messa dai cacciatori e che si erano dimenticati di togliere. La stagione della caccia fortunatamente era finita. Accorsi ad aiutarlo scendendo velocemente dall'albero.
I denti di quell'aggeggio ferirono la zampa del cervo facendo diventare le mie mani rosse come una ragazza prende colore quando le fanno un complimento. Ma ne valse la pena, alla fine ci riuscii.
Qualche stridio da parte dell'animale uscì dal suo muso accompagnato anche da un po' di lacrime. Anche gli animali piangevano? Io ero ancora piccolo e non sapevo molte cose.
In quelle iridi riconobbi dolore, ma vidi anche una figura maestosa: un ragazzo biondo, bellissimo, sicuro di se.
Vidi il quadrupede correre via. Ogni volta che facevo una cosa buona sentivo il mio cuore alleggerirsi, era una sensazione bellissima.
Mamma diceva che gli angeli hanno il cuoricino leggero ma grande, e lei era uno di loro. Un angelo venuto qui sulla terra, per aiutarmi a superare ogni cosa.
Ritornai sulla mia casetta facendo attenzione a salire e mentre lo facevo ricordai quella volta che mi ero slogato la caviglia. Ho dovuto stare in casa per un mese, non riuscivo a muoverla. Se fossi tornato nel bosco avrei rischiato di romperla.
Guardai la parete in legno del mio rifugio. C'erano tutti i miei disegni di quando avevo quattro anni. Ricordo che tutti mi prendevano in giro perchè ero cicciottello. Non nego che non lo fossi anche a nove anni, non ero bellissimo. Ciò che mi rendeva davvero bello era quello che avevo dentro. Da grande sarei voluto andare via da lì, scappare lontano per rifarmi una nuova vita. Magari nello spazio, oppure in Italia, dove c'erano i miei nonni.
Guardai il mio grande orologio verde con le lancette decorate nei minimi dettagli che mi avevano regalato per la prima comunione. Erano già le sette e venti e mamma si sarebbe arrabbiata.
Presi la bici e corsi via a casa, una bella villa vicino al mare. Mentre correvo, sentivo tutta l'adrenalina dentro di me, tutto il vento che mi scompigliava i capelli come prima. I sassolini sulla strada, venivano separati uno ad uno grazie alle ruote della mia bicicletta. Come se dovessero essere scelti per una lotta come quella narrata nell'Iliade, tra Achei e Troiani. Adoravo leggere i poemi -anche se erano difficili- e mi facevo aiutare da mio padre che insegnava letteratura alle superiori.
Vidi che il cielo si stava scurendo. L'odore della pioggia invase le mie narici fino ad arrivare nei miei polmoni; nello stesso momento, qualche goccia cadde dalle nuvole arrivate all'improvviso.
Arrivai a casa e mi sbrigai a rifugiare il mio mezzo nel magazzino pulito.
Entrai dalla porta di sicurezza e mi diressi verso il salotto. La pioggia ormai si faceva sentire e le finestre erano piene di goccioline. Chiusi la porta alle spalle e a passi lunghi finalmente arrivai da mamma e papà.
《Ciao mamma, ciao papà.》
I loro volti erano scarni e pallidi. Indietreggiai impaurito finchè non andai a sbattere contro un soprammobile. Vidi delle cose trasparenti uscire dai loro occhi. Cosa stava succedendo?
《Amore mio,vieni qui.》
Mamma si alzò dal divano e mi venne in contro per abbracciarmi.
《Cos'è successo?》
Mi guardò con i suoi occhi vuoti.
《I nonni, beh, stanno molto male. Hanno preso una malattia grave e forse incurabile.》
Mi spaventai a quelle parole. I miei adorati nonni, così pieni di vita, stavano per morire?
《Dobbiamo andare in Italia.》
Cosa? L'Australia era la mia terra, non volevo lasciarla.
《Ma poi torneremo,vero?》
Non mi risposero. Si limitarono a fissarmi, e a fissarmi, e a fissarmi. Mi sarei dovuto rifare una nuova vita. Anche se avevo solo nove anni, sapevo com'era difficile essere accettati da tutti su questo mondo, ma un giorno sarei diventato qualcuno e forse la mia vita sarebbe cambiata.
Notte angels,
spero vi piaccia:)
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