Capitolo 1. L'arrivo a Salem

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Avevo solo 8 anni, quando mi ero ritrovata a vagare per il nuovo mondo in solitudine per scappare dalla guerra. Correvano tempi assai difficili, soprattutto per le piccole donne come me; difatti, al mio arrivo, non era tardata la mia cattura e schiavizzazione, a Salem, nel luglio del 1646.

In quel posto il tempo sembrava essersi fermato e, nonostante fosse estate, il paesaggio circostante conferiva all'ambiente costanti tratti autunnali.

Le giornate erano monotone: mi alzavo al canto del gallo per sfamare le bestie, per giunta migliori dei miei padroni, lavavo i panni sporchi dei signori, davo loro da mangiare e li lavavo. Il resto del tempo era impiegato a compiacere i servigi dei miei superiori.

Tuttavia, durante la mia permanenza, ricordavo una notte in particolare: all'alba dell'aprile 1647, urla strazianti provenivano dalla piazza della cittadina e minavano il mio sonno. Destandomi, avevo notato che una ragazza di appena quindici anni era stata catturata senza ragione, legata a un palo e infine bruciata con l'accusa di stregoneria.

Stregoneria? Peccato si era trattato soltanto una normale ragazzina.

Da quel giorno la realtà di Salem era diventata un vero e proprio inferno, poiché ogni giorno giovani donne venivano uccise per quell'insano motivo e nelle mie orecchie non risuonavano altro che le loro grida agonizzanti, dalla mattina alla sera.

Il tempo passò così in fretta che finii per abituarmi a quello strazio. I sedici anni arrivarono in un batter d'occhio e, all'alba del mio compleanno, il mio padrone mi disse che ero stata venduta a un offerente assai abbiente: il sindaco Walcott, il marito dell'affascinante donna che vidi appena arrivata a Salem.

Cominciai a lavorare nella loro dimora e fu il miglior regalo che potessi mai ricevere.

In quella casa crebbi felice e venni trattata, finalmente, dopo anni, come una persona.

Conobbi la donna che tanto mi affascinava e divenni la sua serva. Successivamente, imparammo a conoscerci e divennimo amiche.

Da quel momento, capii che io e Sabine fossimo più simili di quanto credessi.

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