Capitolo 1

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«Mi stai lasciando?» Piego la testa di lato quasi rivoltante.
«Considerala una pausa» mi dice, come se fosse dispiaciuta ma so benissimo che non lo è affatto.
«Kylie, l'ultima pausa che ci siamo presi è durata quasi sei mesi. Non sono un tuo oggetto» la schernisco arrabbiato.
La cameriera arriva con il mio cappuccino che ho ordinato almeno quindici minuti fa. Mentre lo appoggia sul tavolo ne fa cadere un po' dalla tazza. Trattengo il sospiro per non lanciare il tavolo e andar via.
«Non sono sicura di poter portare avanti la nostra relazione, ho bisogno di certezze» continua con il suo patetico discorso.
«È la stessa e identica cosa che mi hai detto l'ultima volta. Non ti sei stancata di fare questo tira e molla?»
«L'ultima volta è stato diverso, Eliah. Ho bisogno di riflettere, stare con me stessa per un po'.»
La guardo e scoppio a ridere, poi bevo un sorso di cappuccino. «Okay, accetto la tua pausa, ma cosa ti fa pensare che ci sarò quando improvvisamente sentirai la mia mancanza e vorrai tornare con me?» I miei occhi si soffermano sulla sua bocca che vuole schiudersi.
«Be', se davvero mi ami puoi aspettarmi» borbotta. Scoppio in un fragorosa risata prima di dirle: «E chi dice che io ti ami?»
Rimane a bocca aperta, poi inizia a guardarmi col suo sguardo che ha quando le viene negato qualcosa. «Stai scherzando, vero? Come puoi dirmi una cosa del genere?»
«In realtà avrei tantissime altre cose da dirti, ma non lo farò. Goditi la tua vita da single.» Mi alzo dal tavolo e mi sento soddisfatto, sicuro.
«Aspetta!» urla per attirare la mia attenzione, mi volto per vedere cos'altro ha da dirmi.
«Non hai pagato il cappuccino...»
Spalanco gli occhi incredulo dall'assurdità di questa ragazza.
"Ma sul serio?"
«Dimmi che la tua è ironia...» Esco finalmente dal bar e posso respirare aria genuina. Sì, mi sento bene. Altroché. È terminata questa stupida agonia; la nostra non poteva definirsi una storia. Era una buffonata. Mi rendo conto che in realtà mi ha solo usato, ha usato la mia immagine e i miei soldi. Essere la più popolare della scuola non ti dà il diritto di avere tutto, le cose vanno guadagnate. Ma il vero stupido, effettivamente, sono stato io. Non so come ho potuto chiederle di uscire, un anno fa ero un vero imbecille - non che sia cambiato qualcosa tutt'oggi.
Apro la mia Mini Cooper nera e mi metto alla guida, mentre ascolto della musica per rilassare i nervi. Diamine quanto desidero farmi una dormita per bene. Gli esami per il diploma mi hanno sfinito, ma almeno ce l'ho fatta, mi sono diplomato! Del resto doveva andare così, sarei stato l'unico della famiglia a non avere un diploma.
"Ma sì, sei lo stereotipo della tua famiglia."
Non direi. Infondo sono l'unico che ancora non si è iscritto al college, l'unico della mia famiglia a non avere dei piani ben precisi per il futuro, solo svariate idee irrealizzabili. Perché dovrei pensare a qualcosa che potrebbe non accadere? Insomma, potrei morire in questo istante facendo un incidente in auto, no? "Santa ironia, portami via."

Arrivo fuori al cancello di casa mia, ovvero villa, e mentre attendo la sua apertura metto come colonna sonora Requiem for a dream per dare il senso di spettacolarità all'entrata della mia lussuosa caverna. Cos'ho che non va? Parcheggio l'auto in giardino e scendo. I miei genitori sono ancora a lavoro, quindi in casa mi faranno compagnia le domestiche. Lo ammetto, le domestiche sono le pochissime persone che riesco a sopportare ultimamente. Fanno il loro lavoro e non ti calcolano minimamente, praticamente non esisti per loro, esiste solo la casa. Come biasimarle?
«Posso fare qualcosa per te, Eliah?» La signora Brown, ovvero la vera governante di casa, è l'unica che non mi parla formalmente, e la ringrazio.
«In realtà sì: preparami la vasca con i miei bagnoschiuma preferiti, sarò in bagno tra cinque minuti.» Le ordino e obbedisce senza fiatare. Vado nella mia camera, il posto che più amo della mia casa, dopo la sala "relax". La stanza è composta in modo abbastanza semplice, ma di bell'impatto. C'è un letto matrimoniale morbidissimo, coperto da lenzuola di seta bianche. La spalliera è in pelle nera. Anche la parete è nera, decorata con dei quadri bianchi contenenti le mie foto. Di fronte c'è un'altra parete nera compensata da un disegno di una piuma gigantesca, sempre in bianco. In basso vi si trova una splendida scrivania moderna affiancata da una biblioteca di gran misure, entrambe, ovviamente, in bianco. Più che una biblioteca sarebbe una videoteca, infatti ho una raccolta infinita di film e serie tv che amo. Non leggo molto, solo il massimo indispensabile. Il pavimento è ricoperto da una moquette che è praticamente una scacchiera formato gigante. Poi ci sono altre due porte: una per il bagno, mentre l'altra per la mia cabina-armadio. La Signora Brown esce dal mio bagno e sobbalza nel vedermi: «Scusami, pensavo fossi ancora di sotto.» Riprende fiato.
«Non sono così brutto, dai!» rido, e nel mentre tolgo le scarpe.
«Non ho detto questo.» Cerca di trattenere un sorriso evidente.
«Va bene, ti credo. Non voglio essere disturbato per almeno un'ora, ti raccomando, tienimi alla larga quelle donne di sotto» dico, riferendomi alle domestiche con sarcasmo.
«Come vuoi.» Esce dalla stanza chiudendosi la porta dietro.

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