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Louis

La pancia decisamente troppo grossa e ingombrante che – oramai – fuoriusciva da qualsiasi pantalone o maglietta, era diventata per Ariel un ostacolo per qualsiasi cosa.

Okay, non era vero.

Diciamo che nonostante quella gravidanza le avesse regalato la pancia più grande di tutte le altre, Ariel era sempre un tornado in movimento. Aiutava Ruth a fare i compiti, controllava sempre con la coda dell'occhio che Nathan non si arrampicasse sul cornicione della casa e – soprattutto – badava ad Aaron, che più vedeva sua madre indaffarata, più premeva per avere le sue attenzioni.

Fortunatamente, il mio lavoro mi permetteva di poter stare a casa con lei ed aiutarla con i bambini e le faccende domestiche. In più, due o tre volte la settimana le mie sorelle venivano a portarsi via Ruth o Nathan, aiutandoci a sollevarci il carico in questi ultimi mesi di gravidanza di Ariel.

I nostri figli non erano particolarmente rompiscatole o disubbidienti e, soprattutto, non erano assolutamente un peso per noi; Ruth era ormai grande abbastanza per capire la situazione e molte volte aiutava Nathan a vestirsi o pettinarsi.

Nathan era un bambino che amava stare da solo: non gli serviva nient'altro a parte una lente d'ingrandimento e un cappello da boyscout per partire in esplorazione. D'estate non ci sembrava neanche di averlo, quando veniva inverno però soffriva molto per essere costretto in casa.

Aaron, invece, era un bell'elemento. Era il classico bambino "mammone": seguiva Ariel come un'ombra per tutta la casa. Certo, era ancora piccolo. Aveva compiuto due anni giusto pochi giorni prima, però né Ruth né Nathan erano stati così appiccicosi con la loro mamma come lui. Anzi, Ruth passava sempre molto più tempo con me che con Ariel.

Quella sera avevo appena fatto il giro per il bacio della buonanotte; avevamo una casa grande e spaziosa ma per ora i bambini dormivano tutti e tre insieme nella stessa stanza. Li aiutava ad addormentarsi senza che si sentissero soli, e questo era una grande fortuna per me ed Ariel.

«Buonanotte, amori miei.»

«Buonanotte papi!» urlarono subito in coro tutti e tre, Aaron con qualche parolina storpiata.

Sorrisi loro un'ultima volta e spensi la luce della stanza, accostando la porta ma senza mai chiuderla del tutto.

Una volta che feci capolino in cucina, trovai Ariel con il catino della biancheria appoggiato sul tavolo a stendere. Mi appoggiai allo stipite della porta con la spalla e mi presi qualche secondo per ammirarla: indossava una semplice camicia da notte bianca – il pigiama le era diventato scomodo in queste ultime settimane, perché le saliva sulla pancia e sentiva freddo – i capelli lunghi e biondi raccolti con una molletta e qualche boccolo che le ricadeva sul viso.

Un calzino le cadde per terra in quel preciso istante, e – dopo aver tirato un lungo sospiro per lo sforzo immane che le sarebbe costato abbassarsi – prese coraggio e cominciò ad accucciarsi, ma io fui più veloce e, appoggiandole una mano sulla schiena, mi chinai a raccoglierlo per lei.

Il sorriso stanco ma genuino che trovai stampato sulle sue labbra non appena i miei occhi finirono sul suo viso fece automaticamente sorridere anche me.

«Grazie.» disse, prendendomi l'indumento dalle mani per poggiarlo insieme agli altri sullo stendino e terminare la stesura dei panni.

«Andiamo a letto?» le chiesi a quel punto, circondandole il bacino con entrambe la braccia e allungandomi per lasciarle un bacio sulle labbra.

La sua pancia era talmente ingombrante che i nostri visi erano lontani di parecchi centimetri, nonostante i nostri corpi fossero l'uno contro l'altro.

Clarity [l.t.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora