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Descrizione: "Il sole e la luna"

Victoria Forbs era sempre stata una terribile stronza.

Lo era tutt'ora, accidenti!

Si divertiva a prendermi per il culo; apriva l'acqua del rubinetto in cucina solamente per farla arrivare ghiacciata a me mentre ero sotto la doccia e ci trovava gusto nel farmi qualsiasi tipo di dispetto crudele, nonostante non avessimo più vent'anni.

Nonostante tutto ciò, comunque, la adoravo.

Ariel la adorava.

I bambini stravedevano per lei. Sì, insomma, era la classica zia figa dell'America che quando arrivava portava loro tutte le schifezze possibili ed inimmaginabili, assieme a pupazzi enormi e tanti, tanti giocattoli.

Come potevano non amarla?

«È arrivata zia Vicky, è arrivata zia Vicky!» urlò Ruth, euforica, saltellando più volte sul posto, guardando fuori dalla finestra. «Vado ad aiutarla con le valigie!»

Si fiondò verso la porta di casa e – anche se a fatica – l'aprì e comincio a correrle incontro. Subito anche Nathan la seguì, e quest'ultimo fu seguito a ruota da Aaron, che mancò l'ultimo gradino della veranda e atterrò di pancia nel prato.

Nessun problema, però, dato che si rialzò in fretta e furia e corse incontro alla ragazza dai capelli lunghi e scuri che si era inginocchiata nel vialetto, con le braccia larghe, pronta ad accoglierli tutte tre.

«Pettatemiiii!» gridava Aaron, corricchiando goffamente, mentre gli altri due si erano già avvinghiati a collo della zia. «Io piccolino!»

«Forza Aaron!» gli urlò Vicky per incitarlo, e in pochi secondi anche lui si unì all'abbraccio collettivo.

Ariel si affiancò a me in quel preciso istante, con Yvonne appoggiata sulla sua spalla e ciondolando da una parte all'altra mentre, battendole delicatamente la mano sulla schiena della bimba, cercava di farla digerire dopo averla allattata.

Mi voltai a guardarla e vidi subito il sorriso contento ed emozionato che stava rivolgendo a quel meraviglioso quadretto.

«Finalmente.» la sentii sussurrare, e quando incrociò i miei occhi non potei fare a meno di avvicinarmi e lasciarle un bacio sulla fronte, abbracciandola.

Da quando io ed Ariel ci eravamo trasferiti ufficialmente in Inghilterra, prima che avessimo dei figli andavamo a trovare Vicky ogni anno. Facevamo le vacanze estive insieme e a volte lei veniva da noi per Capodanno.

Da quando avevamo cominciato a metter su famiglia, però, ci era risultato più difficile vederci con frequenza, per ovvi motivi. Vicky veniva quindi a trovarci una volta l'anno, ma ultimamente – a causa del fatto che gestisse l'azienda di suo padre in Texas, come Ariel lo faceva qui a Londra – aveva poco tempo libero ed erano passati poco meno due anni dall'ultima volta che ci eravamo visti. Aaron aveva appena pochi mesi ai tempi.

«Andiamo tutti a salutare la mamma!» gridò euforica all'improvviso Vicky, e tutti i bambini cominciarono a correrci incontro.

Uscii sul portico per dare una mano con le valigie, e non appena Vicky incrociò il mio sguardo mi rivolse un ampio sorriso e mi strinse in un caloroso abbraccio.

«Ciao, One Direction.» mi schernì come il suo solito. «Me l'hai farcita ancora, la sorella, eh?»

«Victoria!» la ammonii subito.

«Farcita? Come la pizza?» chiese Nathan, confuso.

«Sono come una spugna...» dissi a Vicky tra i denti. «Attenta a quello che dici.»

«Ricevuto, capo!» fece lei, portandosi una mano sulla fronte in segno di obbedienza e questo suo gesto fece ridere Nathan e, fortunatamente, lo fece dimenticare di quello che le sue orecchie avevano sentito poco prima.

Vicky era sempre la stessa, a parte i lineamenti del viso che si facevano più marcati; quando si avvicinò ad Ariel, la commozione negli occhi di entrambe era innegabile. Ogni volta che ripensavo alla loro storia, rimanevo senza parole nel guardarle oggi; alla relazione forte che avevano, a quanto si volessero bene e si cercassero ogni giorno.

«Ommioddioooo...» disse ad un tratto Vicky, con una vocina stridula, abbassando il volto sulla bambina piccola, con la bocca dischiusa e le guanciotte piene che dormiva sulla spalla di Ariel.

Premette ripetutamente – ma con estrema delicatezza – la punta dell'indice nelle guance piene di Yvonne e quest'ultima rise nel sonno in automatico.

«Ammooooooreeeee.» disse a quel punto Vicky, guardando Ariel e poi me.

«Dammela.» dissi infine dolcemente ad Ariel, allungando le braccia nella sua direzione.

Lei me la diede subito, senza pensarci un secondo di più, ed immediatamente dopo le sue braccia erano avvinghiate attorno al collo della sorella. Si sussurravano cose che, giustamente, non mi era consentito sentire, e Vicky continuava a lasciare numerosi baci sulla guancia destra di Ariel, massaggiandole contemporaneamente la schiena con le mani.

Esattamente qualche ora dopo, una volta che Vicky ebbe distribuito tutti i regali ai bambini e loro finalmente la lasciarono in pace, scattai quella foto.

Ariel era seduta su uno piccolo tavolo della cucina e Vicky aveva appena confessato una delle sue peggiori figuracce che le erano capitate, e per la vergogna aveva trovato rifugio sulle gambe della mia compagna, mentre entrambe ridevano a crepapelle.

E mai come in quel momento ebbi la certezza che non fosse necessario condividere lo stesso sangue per essere sorelle.

***

Avevo scritto questo piccolo capitolo ad inizio settimana, ma poi l'avevo lasciato nelle bozze perché non ne ero convinta al cento per cento.  Ho continuato a leggerlo e rileggerlo, e ancora continuo a non esserne pienamente convinta. 

Ma dopo la brutta notizia che tutti abbiamo avuto questo venerdì, questa sera ho deciso di non lasciarlo più nelle bozze. Non è niente di che e continua a non convincermi, ma chi - come me - ha un fratello o una sorella sa che, nonostante tutti i battibecchi e gli insulti che ci si può rivolgere, rimane il legame più forte all'interno della famiglia.

E nonostante tutte le volte che l'abbia urlato senza pensarlo veramente, sono davvero molto contenta di non essere figlia unica.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 17, 2019 ⏰

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