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Descrizione: "Dopo quasi 24h infinite di travaglio, classificandosi come la bambina più incline a farsi desiderare, anche Yvonne è ufficialmente entrata a far parte della famiglia! Le mie meravigliose donne, stanche ma sempre bellissime..."

Ariel ed io arrivammo in ospedale che erano quasi le dieci di sera. Lei faceva una smorfia ogni tanto di dolore, ma le precedenti gravidanze le avevano insegnato che il vero dolore si sarebbe manifestato nel giro di qualche ora.

Purtroppo, Yvonne impiegò il triplo del tempo dei suoi fratellini per farsi vedere. Alle quattro del mattino ancora Ariel non era neanche lontanamente pronta per il parto, essendo dilatata di solo pochissimi centimetri, e non appena la dottoressa nominò la parola "cesareo" vidi il panico montare sul viso della mia bellissima donna.

«No, assolutamente. No.» chiarì immediatamente. «Ne ho fatti tre e farò uscire anche la quarta, in qualche modo. Dateci ancora del tempo.»

Così le avevano consigliato un bagno caldo, ed io l'avevo aiutata ad entrare nella vasca, sedendomi sul pavimento freddo affianco al bordo per massaggiarle le spalle con la spugna soffice.

«È l'ultima, Ariel.» le dissi ad un tratto, sostenendole la coda di cavallo in alto mentre le massaggiavo il collo. «Forse dovresti ascoltare il consiglio dei medici e farti fare il cesareo.»

Il silenzio che ne seguì, per un attimo, mi fece pensare che stesse valutando le mie parole. Ma il modo in cui si girò a guardarmi dopo qualche secondo, smontò tutte le mie teorie.

«Yvonne nascerà esattamente come avevamo previsto.» ringhiò tra i denti. «Io e lei, insieme, ci riusciremo, non dovete intromettervi. È una cosa nostra e ce la gestiamo noi.» disse, continuando a massaggiarsi il pancione.

Una volta che ritornò con gli occhi nei miei, il mio sguardo si era già addolcito e il suo lo fece di conseguenza. Mi abbozzò un sorriso e poi allungò la mano umida dietro la mia nuca per portarmi contro le sue labbra.

«Godiamoci questi momenti, perché mentre con le precedenti gravidanze sapevamo che queste emozioni sarebbero ritornate, questa è la nostra ultima occasione per provarle di nuovo.» sussurrò contro la mia bocca, baciandomi poi di nuovo. «Non voglio perdermi nulla, Louis. Voglio sentirla mentre la metto al mondo. Ti prego, fidati di me. Sai che non la metterei mai in pericolo.»

«Lo so.» la tranquillizzai, spostandole una ciocca di capelli che le era fuoriuscita dalla coda dietro l'orecchio. «Mi fido di te.»

Quella conversazione avvenuta intorno alle sei e mezzo del mattino fu forse uno dei pochi momenti in cui ci godemmo il privilegio di essere solamente io e lei, a parlare di tutto e niente, dopo un sacco di tempo. I nostri figli erano tutto per noi, ma in quello sprazzo di mattinata, per alcune ore soltanto, eravamo stati solamente Ariel e Louis, come dieci anni prima, a ridere, scherzare e parlare, parlare e parlare. Certe cose, tra di noi, non cambieranno mai. Proprio mai.

Come quella risata a denti scoperti, buttando indietro la testa e assottigliando gli occhi, che lei faceva sempre quando mi trovava buffo. Aveva solamente qualche ruga in più attorno agli angoli degli occhi quando la faceva, ma per il resto era esattamente identica alla prima volta che l'avevo vista ridere, su quello scoglio alla spiaggia di Pipeline.

«L'avresti mai detto, dieci anni fa, quando mi hai visto arrivare, che saremmo arrivati fino a qui?» le chiesi ad un tratto, dal nulla, mentre la passavo del tè con cui fare colazione.

Ariel lo prese e mi guardò corrucciando la fronte, scaldandosi le mani con la tazza mentre ci rifletteva.

«Tu no?» mi rigirò la domanda dopo un po'. «Sì, insomma. Io... sì. Ho sempre avuto quella strana sensazione alla bocca dello stomaco e la pelle d'oca costante ogni volta che, seppur per caso, le nostre dita, camminando, si sfioravano. E tu eri così problematico, cavolo. Hai tirato fuori la mia vena da crocerossina!»

Scoppiai a ridere e scossi la testa.

«Era una domanda seria, la mia.»

«E la mia una risposta seria.» mi rimbeccò, portandosi poi la tazza alle labbra. «Sì, Louis. Ho sentito fin da subito che ci fosse quella cosa tra noi che... non so neanche come definirla, se non unica. Tu no?»

«Non so, forse perché ho temuto terribilmente di perderti e ho vissuto sei mesi della mia vita senza sapere nemmeno se avessi potuto vedere di nuovo i tuoi occhi blu.» cantilenai, gesticolando animatamente. «È per questo motivo che adesso non riesco più a stare senza vederti per più di un'ora!»

Ariel sorrise e si trattenne l'angolo della bocca coi denti.

«Ti ho già chiesto scusa molte volte, per questo...» sussurrò infine. «Mi dispiace molto.»

Mi alzai dalla poltrona e andai a stringerle la mano per poi chinarmi a lasciarle un bacio sulla bocca.

«Non farlo mai più.» mormorai contro le sue labbra. «Grazie per aver esaudito ogni mio desiderio e per rendermi felice ogni giorno.»

Vidi gli occhi di Ariel, a pochissimi centimetri dai miei, inumidirsi fino a diventare brillanti.

«Sono una donna incintissima con gli ormoni a palla, questi discorsi strappalacrime riservateli per quando mi avrai fatta incazzare per non aver buttato i mozziconi di sigaretta!»

Risi e le rubai un altro bacio.

«Sei bugiarda, sto migliorando con questo.» osservai.

«Lo so, ma è l'unico motivo per cui me la prendo con te.» confessò. «Per il resto sei un padre modello e un compagno di vita eccezionale.»

Distolsi lo sguardo dal suo ed infilai le dita tra i suoi capelli morbidi solamente per non cedere alla commozione che premeva agli angoli dei miei occhi; poi, mi feci coraggio e mi abbassai nuovamente a lasciarle un altro bacio.

Una voce femminile che si schiarì la gola interruppe il nostro momento, e quando mi voltai scorsi la ginecologa di Ariel sulla porta con un sorriso di scuse.

«È ora, Ariel.» disse con calma. «Ci riproviamo?»

Yvonne nacque alle 20:30 di quel giorno, davvero quasi ventiquattr'ore dopo dalla nostra entrata in quell'ospedale, ma collocai quelle ore tra i momenti più belli che io ed Ariel avevamo passato insieme.

Ovviamente, da una guerriera come lei non ci si poteva aspettare che un altro parto naturale. Yvonne continuava ad opporre resistenza, inizialmente. Probabilmente, stava così bene dentro la pancia della sua mamma che non ne voleva proprio sapere di uscire!

D'altronde, come biasimarla!

Non appena sentimmo le sue urla acute, Ariel tirò un sospiro di sollievo – potevo solo immaginare quanta fatica ci avesse messo per farla – ed io feci altrettanto, andando subito a lasciarle un bacio sulla fronte sudata.

«Ce l'hai fatta, amore.» le sussurrai all'orecchio e lei si voltò subito a guardarmi, gli occhi rossi per le lacrime e qualche capillare rotto a causa dello sforzo immane.

Ma sempre e comunque meravigliosa.

«Ce l'abbiamo fatta.» mormorò lei, una volta che la dottoressa le posò tra le braccia l'ultima arrivata.

Ariel la guardò e la coccolò un po', ma Yvonne era troppo arrabbiata per averla costretta ad uscire dal suo luogo sicuro per smettere di piangere.

«Cavolo, che tipetto!» commentai subito, e non appena allungai l'indice verso le sue minuscole manine, le sue ditina si avvolsero subito attorno ad esso con una forza incredibile per una bambina venuta al mondo da un minuto scarso. «Ce ne saranno delle belle con lei, Ariel.»

Lei rise ed io con lei; poi, la mia bellissima donna alzò gli occhi nei miei e il suo sguardo si addolcì sempre di più.

«Sai che giorno è oggi, vero?» mi chiese, con un filo di voce.

Per un attimo, per una sola frazione di secondo, ero quasi riuscito a dimenticarmene in tutto quel trambusto. Ma non appena Ariel me lo ricordò, ricambiai il sorriso dolce che mi stava rivolgendo.

«Che ci vuoi fare.» sospirai. «Le sono sempre piaciute le bambine.»

Ariel sbuffò una risata e poi riabbassò lo sguardo sulla piccola.

Io, invece, alzai il mio verso il cielo e la ringraziai sottovoce, per averci sostenuto e aiutato anche questa volta.

Yvonne Tomlinson: 7 dicembre 2029, ore 20.30

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