Capitolo 1

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 Carolina del Sud, febbraio. I raggi di sole che attraversano la finestra della mia camera mi fecero notare il pulviscolo che aleggiava nella stanza.

Mi coprì gli occhi mentre sgattaiolai in bagno, per evitare di entrare in contatto diretto con la luce accecante che si insinuava nella mia camera e vedere sfocato per il successivo quarto d'ora.

Una volta raggiunto il bagno, lo specchio riflettè l'immagine di una ragazza dalla corporatura esile, i capelli a caschetto e degli occhi col taglio a mandorla di un celeste incantevole. Ho sempre amato i miei occhi. Trovai fossero di un colore unico, introvabile. A dire la verità mi piacevano un pò gli occhi di tutti: ho sempre pensato che fosse vero che gli occhi fossero lo specchio dell'anima. Io ci vedevo i sentimenti negli occhi degli altri.

La piccola sveglia che avevo su un piccolo armadietto a muro mi ricordò che ero sempre la solita ritardataria. Quel giorno sarei dovuta andare in ospedale, che ormai era la mia seconda casa, per una trasfusione di globuli rossi. Perchè non bastava togliermi la vita, dovevo essere pure anemica.

Amavo stare sotto il getto dell'acqua calda, mi faceva stare bene. Ci sarei stata ore qui sotto, ma chi avrebbe voluto sentirla poi mia madre urlare. Passai il balsamo e aspettai i magici tre minuti che avrebbero dovuto fare la magia sulle mie povere punte rovinate e nel frattempo mi insaponai.

Una cosa postivia di tutto qeullo schifo, era che mi crescevano davvero pochi peli. Almeno sarei stata una ragazza malata senza peli, rendeva tutto meno brutto e più confortante.

"Amanda! Faremo tardi tesoro!", mia madre. Puntuale come un orologio svizzero. Devo dire che mia madre è quella che ha accettato un po' di più la situazione; mio padre è crollato come le costruzioni che facevo da pccola: tutto d'un pezzo, e ha sparso i suoi sentimenti di rabbia e tristezza tra le macerie dei miei più grandi sogni. Non potevo fargliene una colpa; non avrebbe mai potuto sapere che la ragazzina dai grandi occhi celesti spensierata che spingeva sull'altalena a nove anni, sarebbe stata destinata ad una vita ben diversa da quella che avrebbe immaginato. Dopo tutto era mio padre, l'uomo della mia vita ed io gli vorrò sempre bene così com'è.

Mia madre però non sopportava di vedere il suo viso ogni giorno in quelle condizioni: nelle condizioni di un uomo che non è più un uomo. Hanno divorziato quando avevo quattordici anni. Hanno cercato di rendere il tutto il più facile possibile per me. Quando toccava a mio padre la mia custodia, non sempre ero nelle condizioni di andare da lui per via della mia piccola malattia; quindi veniva lui a casa. Si sistemava su un letto gonfiabile vicino a me e non sarei potuta essere più felice.

Avevo una paura terribile quando hanno deciso di divorziare. Non per la loro separazione, ma che mi avrebbero chiesto con chi sarei voluta andare. Non ho mai saputo prendere decisioni nella mia vita, sono sempre stata un'eterna indecisa. Ma qua non si trattava solo di scegliere, si trattava della mia coscienza. Non avrei mai potuto scegliere uno dei miei genitori, non ce n'è uno che vale più dell'altra. Sono stati le mie stampelle per anni e entrambi mi hanno sostenuta in egual modo. C'è chi ha fatto più fatica, ma nonostante tutto mi hanno sempre sostenuta in ogni mia scelta. Ringrazio Dio perchè la scelta è stata del giudice, non vi è stata nessuna opposizione. Hanno dovuto prendere decisioni ben peggiori nella loro vita.

Nonostante la loro separazione, la vita trascorreva normalmente. Ci vedevamo circa ogni tre o quattro giorni e i miei non hanno smesso di amarsi. Ricoradte che gli occhi sono lo specchio dell'anima? Ecco, i miei si rispecchiavano l'uno negli occhi dell'altra. Li vedevo quando a tavola si sfioravano la mano e prendevano subito le distanze, si guardavano negli occhi e facevano un sospiro. Quel sospiro di chi ha deciso di ascoltare le regole dettate dalla logica, dalla parte razionale e noiosa degli essere umani. Ascolare il cuore può fare molto felici, ma non sempre è la giusta scelta.

Li ricordo ancora qualche settimana dopo che me l'hanno diagnosticata. I dottori avevano finito di farmi qualche analisi ed io stavo riposando sul lettino.

"Non c'è cura, però possiamo fare il possibile per farla vivere il più possibile", erano le parole della dottoressa che me l'ha diagnosticata.

I miei genitori pensavano che io stessi dormendo. Ho sempre saputo fingere bene quando ero molto stanca, per farmi portare in braccio dal divano fino alla mia stanza.

Per farla vivere il più possibile. Non riuscivo a togliermi dalla testa quelle parole. Un ciuffo mi ricadè sul viso e mi mossi leggermente, così la dottoressa e i miei genitori andarono a parlare fuori per evitare di disturbarmi. Dannati capelli.

"Amanda, non te lo voglio più ripetere!".

"Diamine mamma! Scendo tra un attimo".

Quella mattina decisi di indossare un vestito che mi aveva regalato mia zia Josephine per il diploma. Un vestito di un azzurro così chiaro che sfumava quasi al bianco: il tessuto si adagiava permettamente alla mia corporatura e mi slanciava di qualche centimetro, lo scollo a cuore metteva in risalto il poco seno che quell'ingrata di mia madre aveva deciso di donarmi. Mi spruzzai qualche goccia del buonissimo profumo che mi aveva regalato Brendon per i nostri quattro anni assieme.

State calmi, anche Brendon avrà la sua parte in questa storia. In realtà, lui avrà molte parti.

Ricordami per sempre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora