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Come nei più temuti incubi, frutti della mente traditrice, che genera illusorie lame in grado di ledere il nostro riposo, il terrore ammutolì il mio grido.

Se solo avessi preso il respiro e placato i miei nervi prima di fiondarmi giù per la ripida scalinata!

Ma forse, la verità è che fu qualcosa che non aveva niente in comune con la goffaggine generata dal tremore della paura che mi fece inciampare sul primo gradino; forse furono quelle stesse mani di tenebra che amano scrivere le tragedie dell'umanità, che ghermirono le mie caviglie nella loro sinistra morsa, inclemente e irremovibile, come il nostro inumano fato, stratega di queste legioni d'ombra.

Rotolai su me stessa e sbattei violentemente più volte in vari punti contro gli spigoli marmorei dei gradini, prima di fermarmi, finalmente, sul fondo della scalinata.

La mente umana tende sempre a preservarsi dalla sofferenza, e adesso, a distanza di anni, fatico a rammentare tutto il dolore che provai dopo quei duri impatti.

Ma non è questo ciò che avrei preferito dimenticare.

Non so per certo in quale innaturale e abnorme posizione si trovasse il mio giovane corpo, stravolto dalla caduta: la parte superiore pressata contro le piastrelle del pavimento, la parte inferiore gettata sugli ultimi gradini.

Tentai di sollevare la guancia sinistra dalla fredda mano del pavimento, che sembrava spingermi, dolcemente, più in basso; che mi invitava ad abbandonarmi alla sua algida ospitalità.

Ma a quel movimento il mio corpo si ribellò strattonando con violenza quelle sottili corde che lo percorrono per intero; quelle corde che prima di allora avevano solo vibrato e oscillato, trasformando le dolci carezze e i teneri baci materni in un delicato moto oscillatorio, che solo la nostra bizzarra mente decodifica in immagini appaganti e colme di affetto. Ma quella volta, quasi le sentii spezzarsi, quelle sottili e fragili funi: tremarono e tirarono con forza la mia fronte, le mie tempie e la mia nuca, così che il mio capo si riversò di nuovo contro la rigida ceramica del pavimento, guidato solo dalla gravità.

In quella ricaduta qualcosa si squarciò sulla tempia destra libera dalla pressione della pietra; o più probabilmente si aprì un qualche taglio già provocato dalla ruzzolata. Un tiepido flusso scorse lungo la mia fronte - attirato anch'esso dalla stessa forza che inchiodava la mia guancia – aprendo il suo delta sull'occhio, per poi sfociare, in grosse gocce dense e vermiglie, in quel mare di pallida terracotta.

Quel caldo rivolo sinuoso e confortante, in quella gelida e terrificante posizione, che avvicinava i miei pensieri alla morte, mi apparve all'improvviso ostile e ingannatore quando ne vidi l'acceso colore: come un sonno indotto che crudelmente culla l'uomo prima di avvelenarne il sangue, così quel carezzevole tepore tentava di convincermi a lasciarmi andare, a non opporre resistenza, ad "andarmene docile" 1.

Ma il mio cuore non fu "docile" e, nel vedere del sangue uscire dalla sua dimora di carne e ossa, ricominciò a scuotersi nel petto.

Fu allora che iniziarono le mie disgrazie.

Ah, se mi fossi davvero avventurata in quella "buona notte"2, adesso sarei nelle fredde e rigide terre degli Inferi, e la mia mente sarebbe stata muta ma libera, nell'eterno sonno senza sogni!

A quel punto l'aria intorno a me sembrò infittirsi: una leggera nebbia candida baluginava intorno a me. Nonostante crediate che sia una folle irrazionale, la prima cosa che pensai fu che stavo per perdere i sensi, e che la nebbia fosse nei miei occhi; ma il mio sguardo - a tratti offuscato dalle sanguigne vele che si sbrogliavano dalle ciglia, ormai impregnate del denso fluido - volgeva alla scalinata che portava al piano inferiore; e lì mi accorsi della bianca e vorticosa nube raddensata alla fine della gradinata. Era come se l'intero piano inferiore fosse avvolto da una fitta bruma, che come una ragnatela si abbarbicava sulle pareti per sorreggersi. Era compatta e mutevole come una macchia di inchiostro, con temerari tentacoli d'aria che, nel tentativo di sdipanarsi da quella matassa incorporea, si disperdevano imbiancando appena lo spazio circostante, come vapore in una stanza.

Il mio cuore non accennò a rallentare, e un tremore scosse quelle gracili corde ancora dolenti, per gli strattoni precedenti. Ma quello era solo l'inizio.

Avevo lo sguardo fisso sul muto e angosciante grumo di nebbia, quando quella informe massa di gas sembrò ospitare delle correnti dovute al movimento di qualcosa all'interno di essa.

Non riuscii a collegare le varie informazioni che la mente acquisiva; era uno di quei momenti in cui il cervello sembra chiudersi in sé stesso e si rifiuta di elaborare niente che non sia paura, abbandonandoti nel momento di più bisogno. Ma non fu necessario indovinare cosa stesse per succedere. In pochi attimi scoprii cosa si celava nelle viscere di quel mostro d'aria: una figura femminile, giovane e snella, avvolta in una tunica bianca, sbucò da quel mondo di fitti di vapori. 

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note 1e 2 : tratto dalla poesia di Dylan Thomas Do not go gentle into that good night ("Non andartene, docile, in quella notte buona") 

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