Capitolo XXVI.

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Lo fissai negli occhi per un paio di secondi.

Non riuscii a fare altro, per quegli istanti che scorrevano uno dopo l'altro.

Poi, la consapevolezza che stavo per sciogliermi, che avevo bisogno di rientrare dietro quegli occhi che adesso tenevo lontani, dietro un muro di vetro; il bisogno di risentire il calore del suo corpo, di far rifugiare il mio viso sul suo collo, di far combaciare il mio corpo al suo.

Ero lì, stavo sul punto di cedere.

Ma non potevo, non potevo cedere.

Non dopo quello che era successo.

Non dopo quello che mi aveva fatto.

Dovevo essere forte.

Dovevo consolidare il muro.

Non potevo lasciarmi tutto alle spalle.

Avrei potuto farlo. Ne sarei stato capace.

Ma sarebbe stata la cosa sbagliata.

Avevo sofferto, per lui.

Non potevo ignorare tutto.

E ricostruii il muro, lo fortificai, proprio quando mi accorsi che stava per cedere.

Sospirai, spazientito dalla sua presenza.

Non potei fare a meno di notare che ormai da due mesi forse non stavamo così vicini.

Ma non potevo, non potevo pensare a queste cose.

Dovevo resistere.

« Hai cambiato idea? » chiesi, imprimendo quanta più freddezza riuscissi a imprimere in quelle tre parole.

Mi guardò con aria interrogativa. La mia glacialità, il mio sarcasmo, o meglio la mia imposizione di essere glaciale e sarcastico mi fece pensare che sembrava un'idiota, con quell'espressione.

« Non sono più un pezzo di merda? » esplicai inarcando un sopracciglio.

Trattenne il fiato a quelle parole, e sembrò vacillare, come colpito dal ricordo di quello che mi aveva detto, di quello che mi aveva fatto. Sembrò improvvisamente preoccupato, più che speranzoso e determinato come prima.

« Andre » esordì, e mi sentii vacillare a mia volta, preso alla sprovvista dal modo in cui mi aveva chiamato, dal modo in cui mi chiamava prima « per favore, ti prego » disse con voce implorante. « Lo sai che non lo pensavo davvero. Io... non sopporto nemmeno l'idea di averti trattato in quel modo... »

Sembrava che ogni parola che diceva gli costasse uno sforzo enorme.

« E perchè? » gli chiesi, ponendogli quell'ovvia -forse ovvia per me- domanda.

Si lasciò andare, esasperato. « Andrea . Non fare finta che non ci sia niente... »

« E COSE DOVREBBE ESSERCI? » lo interruppi, urlando. « COSA DOVREBBE ESSERCI, DOPO CHE TU STESSO HAI CANCELLATO TUTTO? » continuai lasciandomi andare, ora che avevo abbattuto tutti i muri, così come avevo fatto prima quel pomeriggio.

Mi voltai e feci qualche passo verso il centro del salone, velocemente, come se avessi bisogno di camminare per non svenire o fare qualcosa di pericoloso.

Sentii che mi seguiva, che si chiudeva la porta alle spalle.

« Ti prego » ripetè « fammi spiegare...»

« COSA DOVRESTI SPIEGARMI? » chiesi, fuori di me, ormai abbandonato alla disperazione. Il bruciore che provavo alla gola mentre urlavo era come un balsamo, un dolore fisico che per un istante superava il dolore che sentivo dentro, quel dolore immenso al lungo sopito ma mai morto del tutto. Cominciai a piangere, totalmente perso e avvolto dai miei sentimenti, dai ricordi, dalle paure, da tutto quello che stava riaffiorando, da quel vortice dentro cui mi trovavo da troppo tempo e che mi stava portando ad impazzire ora che lui era lì davanti a me.

I Know You'll Take Me To Another WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora