"Ti avevo dipinto il viso come si dipingono i paesaggi più belli, donandoti i colori che non riuscivi a vedere con i tuoi occhi spenti e tristi, grigi come un mattino di nebbia„
» Seokjin è un pittore e ha perso l'unico dipinto a cui abbia mai tenut...
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«Entriamo, che rischi di ammalarti.»
Queste erano state le tue parole, pronunciate un attimo prima di sfuggire alla mia stretta sul tuo braccio. Avevi completamente ignorato la mia richiesta e non sapevo se esserne sollevato o abbattuto. Saràperun'altra volta.
Intanto tutto ciò che mi importava erano i tuoi passi affianco ai miei. Mi avevi detto di seguirti ed io, ovviamente, l'avevo fatto. Tenevamo entrambi lo sguardo basso sul marciapiede sotto i nostri piedi; tu mi aprivi la strada e io cercavo di mantenere il tuo passo affrettato.
Osservavo i tuoi piedi muoversi quasi isterici e dannatamente veloci, sembravano appartenere ad un automa. Senza accorgermene, avevo fatto in modo che i miei passi si muovessero in sincronia con i tuoi. Sorrisi, nascondendo il viso dentro la giacca pesante.
Tu ti mantenevi in silenzio ed io facevo lo stesso, anche se la situazione non faceva altro che aumentare il mio affranto. Sapevo che mi odiavi, ma ancora non lo ammettevo del tutto a me stesso; dopotutto, eri tu che mi avevi sempre detto che c'è una luce in mezzo al buio, una possibilità tra le tenebre, ma anche questa certezza era stata spazzata via dal tuo cuore a causa mia.
Man mano che avanzavamo, cercavo di imprimere bene nella mia mente la strada che stavamo percorrendo. Un giorno, chissà, sarei potuto tornare, anche se - chi vogliamo prendere in giro! - sapevamo entrambi che non ne avrei avuto il coraggio.
***
Non dicesti niente. Ti fermasti semplicemente davanti ad una comune porta di mogano nero e iniziasti a cercare le chiavi per poi aprire la serratura.
Non avevo il coraggio di entrare e, senza volerlo, rimasi sulla soglia, tentennante: era la tua casa.
«Entra, stupido.»
***
Non c'era nessuna essenza particolare ad impregnare l'intonaco delle tue pareti; vi erano solo frammenti della tua anima sparsi alla rinfusa tra i mobili, i vestiti, le tazze nella credenza.
Tutta la casa era intrisa del solito grigio che ti caratterizzava.
Mi facesti cenno di sedermi e così io feci: mi accomodai su una poltrona marrone accostata ad un piccolo divano del medesimo colore.
Mentre tu preparavi un tè per entrambi, iniziai a guardarmi intorno, cercando di scorgere ogni più nascosto e minuzioso segno della tua quotidianità.
Dalla poltrona sulla quale ero seduto potevo avere la perfetta visuale del tuo salotto. Davanti a me vi era un piccolo televisore e un tavolino da caffè di legno verniciato di verde; c'erano diversi scaffali ricolmi di libri tutt'attorno a tappeti dai motivi orientali e ricercati che creavano un ambiente chiuso e accogliente, ma freddo e buio allo stesso tempo. L'intero salotto, immerso nella penombra delle lampade ad olio, somigliava vagamente ad un set di un film degli anni venti.
Non mi sentivo per niente a mio agio, non con te nella stanza accanto, non con il tuo profumo che violento mi impregnava le narici e mi annebbiava la mente.
Ci mettesti più del previsto a preparare quelle tazze di tè. Quando tornasti in salotto con un piccolo vassoio in mano e gli occhiali sul naso, gli angoli delle mie labbra spinsero inevitabilmente verso l'alto per un secondo.
Sembrava tutto così ordinario, eravamo come due amici che si incontrano di nuovo dopo tanto tempo; ma, purtroppo per noi, non era questo il nostro caso.
Mi accorsi che ti eri cambiato i vestiti.
«Non togli la giacca?»
Inutile dirlo, ma ogni volta che parlavi sembrava che le pareti del mio petto tremassero per un istante.
«Oh... sì. Hai ragione.»
Mi tolsi il cappotto. Ogni mio movimento mi sembrava così impacciato, così lento con il tuo sguardo sul mio volto. Perché continuavi a tenere i tuoi occhi puntati su di me? Volevi ridurmi in cenere come una delle tue sigarette?
***
Sorseggiavo il mio tè lentamente, come se avessi avuto paura di rompere quel silenzio che ci teneva le mani e le braccia legate dietro la schiena. E infatti ne avevo, di paura; ma dovevo parlare, dovevo dire qualcosa, dirti perché avevo cercato di entrare di nuovo nella tua vita così all'improvviso.
«Namjoon.» Avevo posato la mia tazza sul basso tavolino di legno che ci separava e avevo alzato il mio sguardo su di te.
«Senti, Seokjin... Non cercare di scusarti per quello che hai fatto, anzi per quello che non hai fatto. Ne ho avuto abbastanza, okay? Solo, se sono queste le tue intenzioni, vattene.»
Pronunciasti quelle parole con un tono strascicato, stanco e sfregiato dal tempo. Quasi non ti riconoscevo più, Namjoon. Cosa ti avevo fatto?
Abbassasti lo sguardo, la tazza ancora tra le tue mani. Quanti spregevoli ricordi ti stavano attraversando la mente in quel momento? Potevo quasi vederli, sai? Un mare ricolmo di petrolio, nero e salato, che ti avvolgeva le membra bloccandole con violenza.
Vedere il tuo sguardo così distrutto, assente e lontano dal mio, quegli occhi grigi contornati da occhiaie profonde, mi faceva male all'altezza dello stomaco; ma sapevo, mio malgrado, che quel dolore che provavo non poteva essere neanche lontanamente paragonabile a quello che tu avevi provato e che, probabilmente, stavi provando ancora.
«Namjoon.» Ripetei, questa volta più deciso, cercando di trovare quel minimo di forza scaldando le mani attorno alla tazza ancora calda. Non alzasti gli occhi. «Lo so, so che tutto ciò che ti ho fatto non potrà mai essere perdonato. Sono stato uno stupido, stupido e spregevole idiota e me ne rendo conto, però... però forse sono cambiato. Forse ho imparato a conoscere me stesso.» Deglutii a vuoto guardando il pavimento, ma solo per un paio di secondi.
Stavo mentendo? Come potevo aiutarti se non ero nemmeno in grado di aiutare me stesso?
«Ho sbagliato, Joonie, però magari potremmo provare a ricostruire ciò che eravamo.. Almeno provare..»
«È Namjoon.» Il tuo tono era freddo e, per un attimo, i tuoi occhi si posarono nei miei. «E comunque lo sai che tutti i tentativi saranno vani, no? E perché vorresti provarci lo stesso? Sono solo un giocattolo rotto, Seokjin. Non puoi aggiustarmi.»
Ti guardai sospirando. No, non potevo perderti di nuovo solo perché mancavo di coraggio. Dovevo lottare con tutte le mie forze per riaverti: mi ero imposto di riportarti da me e così avrei fatto.
«Tutto può essere aggiustato, se conosci la parte spezzata.»
Rimanesti in silenzio, scrutandomi.
«Ti darò il mio numero di telefono... Ma ti chiamerò io.»
Eri disperato a tal punto da cedere così facilmente? O semplicemente non avevi più niente da perdere? Chissà se eri cosciente del fatto che, così facendo, avresti gettato nuovamente la tua vita in un oblio senza fine. Perché è questo ciò che sono, io Kim Seokjin, sono solo un inferno creato per me stesso e per le persone che hanno la sfortuna di trovarsi nel mio cuore.
Nonostante ciò, faticai a trattenere il sorriso che piano piano si stava aprendo sul mio volto.