"Buongiorno" sussurrò Jessica entrando in classe, in ritardo come al solito.
"Non ho sentito bene signorina Smith", "Buongiorno!" ripeté più forte, facendo sobbalzare perfino se stessa.
Poi andò a sedersi come consuetudine al secondo banco nella fila in centro.
Aveva ancora gli occhi del professore di biologia, il signor Kavern, puntati addosso e nella sua mente continuava a maledire il momento in cui aveva scelto quella sezione proprio per quell'insegnante, ritenuto da tutti il migliore in circolazione.
"Bene, se ora fosse così gentile da prendere il materiale per la lezione e fare così in modo che il resto della classe possa continuare la spiegazione, le sarei molto grato" esclamò Kavern riportando la piccola ragazza alla realtà. Questa si limitò ad annuire ed ad estrarre il libro dal suo zaino ancora scarabocchiato dalle firme e impregnato dei ricordi dei suoi compagni delle medie, cercando con i suoi sottili occhi vispi qualcuno a cui poter chiedere la pagina.
"C65" le suggerirono da dietro.
Una voce familiare, calda e dolce come quella di nessun altro: Calum.
Jessica si limitò a girare leggermente il volto verso il suo compagno e arrossì ritornando bruscamente a guardare verso la cattedra.
Sulle labbra di Calum comparve un lieve sorriso.
Calum era un bel ragazzo, uno di quelli che sono soliti stare con le cherleaders, tutto muscoli e niente cervello come si suol dire. L'unica differenza era che Calum ne aveva di cervello, e anche tanto. Era stato mandato a partecipare a un concorso di matematica a Boston e aveva vinto, secondo lui, senza neppure troppi sforzi, «Potevo sopportare di peggio, ma mi aspettavo che non avrebbero superato un certo livello» aveva infatti confessato. Era il fiore all'occhiello della gran parte di professori, anche non della sua sezione, ed era ritenuto uno dei ragazzi più carini della scuola. Come si può di certo immaginare non aveva faticato gran che per diventare a far parte di popolari, e infatti già dal primo anno di liceo linguistico aveva conosciuto un bel po' di gente anche degli altri istituti collegati alla sua stessa scuola, la Grace Willon.
La Grace Willon ospitava cinque licei diversi: scientifico, classico, classico con indirizzo linguistico, linguistico e linguistico con indirizzo scientifico, e sia Jessica sia Calum facevano parte di quest'ultimo.
Alla fine della prima ora di lezione, come ogni lunedì, tutti gli alunni ancora mezzi ubriachi dal weekend precedente e odoranti di fumo, si sarebbero mossi come bisonti negli stretti corridoi dei differenti quattro edifici e avrebbero, come ogni lunedì ma come ogni altro giorno, travolto la piccola Jessica, la quale sarebbe sicuramente arrivata in ritardo anche la seconda ora.
«Ancora mezza frastornata da ieri sera?» iniziò Calum appoggiandosi all'uscita della classe con i libri in mano incrociando le braccia sul petto. Se n'erano già andati tutti a eccezione di Jessica, che come al solito stava inciampando sui suoi stessi piedi mentre lunghe ciocche viola le scivolavano sugli occhi e i libri le cascavano di mano.
«Oh sei tu, grazie per il suggerimento» rispose timidamente sistemandosi alcuni capelli dietro un orecchio, «Già, di niente non preoccuparti». Annuì e fece per allontanarsi giusto in tempo, come sapeva, prima che arrivassero tutti gli altri ad annegarla in quel mare di adolescenti sudati ma Calum continuò la conversazione.
«Che cos'hai ora? Latino?»
«Già»
«Anche io!»
«Perché tutta questa eccitazione? È solo latino»
«Sarà, ma mi piace».
Jessica lo squadrò come non aveva mai fatto.
"Anche a me„
le sarebbe piaciuto dire, ma si trattenne e sistemò un libro che stava cadendo dalle braccia del suo interlocutore, lui la ringraziò sorridendo e la seconda campanella suonò.
«Merda» fece in tempo a dire prima che tutta la scuola le venisse addosso e la rallentasse come sempre. Riuscì solo a girarsi e vedere che Calum, che fino a poco prima era di fronte a lei, ora non c'era più.
Certamente non sarebbe stato questo il giorno in cui tutti le avrebbero aperto una piccola stradina per passare tra i corridoi, ma come sempre ci provò speranzosa e come sempre non ci riuscì, convincendosi solo di più di prima che quella scuola non era fatta per lei.
Arrivò in classe tra gli ultimi, meravigliandosi del fatto che Calum fosse già li, seduto coi libri aperti mentre ripassava per la lezione, con gli occhi di tutti puntati su di lui.
Jessica ignorò gli sguardi maligni dei compagni nei suoi confronti, dato che ormai c'era abituata, e scivolò silenziosa nel penultimo banco solo perché l'ultimo era già stato occupato.
«Salve ragazzi!» urlò la signorina Vilnyus entrando in classe «Come avete passato il fine settimana?», come risposta un insieme di mugolii e sbadigli soffocati.
«Bene bene ne sono felice, ora potreste ricordarmi gentilmente a che punto della spiegazione eravamo arrivati la scorsa volta?», la lezione proseguì con la stessa monotonia, dando spazio a momenti di casino puro e a momenti di silenzio più totale.
A Jessica dopotutto la signorina Vilnyus piaceva: aveva due grandi occhi marroni molto attenti ai dettagli, i capelli castani che arrivavano fin sopra le spalle inconfondibili grazie a delle ondulazioni verso la fine e sapeva di menta piperita e zucchero a velo. Non che l'avesse mai assaggiata, mettiamolo in chiaro! Semplicemente quelle volte in cui era stata chiamata interrogata o aveva dovuto alzarsi per consegnare i test, era stata inondata dall'inconfondibile profumo che emanava quella donna. E ne era rimasta colpita.
E anche per quanto riguarda lo svolgimento delle ore seguenti nulla cambiò, tutto rimase assorbito nella monotonia più totale. Le ore passavano lente e sembrava che a ogni minuto Jessica sentisse sulle proprie spalle il peso della stanchezza degli altri studenti, correndo come ogni settimana dal cortile della ricreazione alla palestra, dall'aula di matematica a quella di informatica. La cosa che rese particolarmente interessante questo giorno così stressante fu solamente Calum, che all'uscita della scuola, appoggiato allo stipite del grande portone d'ingresso, aveva salutato la piccola Smith con un sorriso a trentadue denti e le aveva addirittura accennato un «Ci vediamo domani».
Al momento questa cosa sconvolse pienamente la ragazza, nella strada del ritorno verso casa non fece che pensare a quello che era appena successo. Lei e Calum erano normali compagni di classe da ormai due anni, non si scambiavano mai grandi dimostrazioni d'affetto o non si mettevano a parlare come se si conoscessero da una vita, ma ogni tanto poteva scappare qualche saluto e qualche breve chiacchiera durante l'intervallo. Niente di spettacolare insomma. Una volta si erano anche scambiati i numeri di telefono ma non ricordava si fossero mai scritti o sentiti e neppure che uno dei due avesse salvato l'altro nella rubrica in modo particolarmente tenero.
Erano compagni, basta.
Amici forse, se le girava bene altrimenti neppure quello. Non si doveva stupire per quel saluto, era normale; lei come sempre era uscita da scuola tra gli ultimi e lui l'aveva salutata, era tutto regolare di solito la gente si saluta quando non si vede fino al giorno dopo. Poi a Jessica venne un colpo di fulmine. Lei era uscita dopo la mandria di alunni come sempre e questa era la prima volta che incontrava Calum all'uscita, quindi lui era sicuramente uno trai primi a tornare a casa dato che era solito che fossero i popolari ad aprire la fila. Oltretutto il modo con cui era sistemato sul portone, ripensandoci meglio, le dava l'idea di qualcuno che aspettava da un po' di tempo, come se fosse rimasto ad aspettarla apposta per salutarla.
Corse l'ultimo tratto verso casa elettrizzata all'idea.
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Impracticable.
Romance“Lei era strana. Lui era popolare. Ciò che cercavano di realizzare era impraticabile.„