•capitolo quarto•

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Altra sveglia, altro giorno, altra merda per la piccola Jessica.
Come il giorno precedente Calum la accompagnò per i pochi metri che avevano in comune salutandola al termine di essi e incamminandosi verso la propria casa.
L'unica differenza fu che Jessica non tornò dai suoi per il pranzo. Fece semplicemente finta, si nascose dietro ad un albero e al momento che riteneva più opportuno si mise a seguire il ragazzo. Perché stava facendo una cosa del genere? Nemmeno lei lo sapeva, ma la sera prima si era ripromessa che avrebbe capito per quale motivo Calum fosse così gentile con lei e trovava che quello fosse un buon modo per iniziare.
Quella stessa mattina aveva addirittura progettato di vestirsi completamente di nero in modo da confondersi meglio tra la gente o tra le ombre se il piano non fosse andato a buon fine. Effettivamente fu un'ottima idea. Calum infatti si girò circa sette volte in soli cento metri.
Arrivato ad uno svincolo piuttosto incustodito e colmo di erbacce svoltò a destra, addentrandosi così sempre di più in un bosco, fino a scomparire alla vista di Jessica. Questa pensava che svoltando l'angolo l'avrebbe rivisto a qualche metro di distanza da lei, e invece neanche l'ombra, come se Calum non fosse mai passato di li. Non riusciva nemmeno a sentire nell'aria il suo solito odore di fumo e caffellatte che lo contraddistingueva. Proseguì incerta ancora per qualche passo, il bosco stava iniziano a concentrarsi sempre di più in una macchia omogenea ed indistinguibile. Senza l'aiuto di qualcuno non sarebbe mai potuta uscire da li, così decise di tornare indietro.
Troppo tardi. Il sentiero che percorse per uscire da quell'insieme d'alberi e rovi non era lo stesso che aveva percorso per arrivarci, ma, al contrario, una stradina che la condusse ancora di più nel cuore del bosco.
Non aveva paura, sapeva che il suo infallibile sesto senso l'avrebbe aiutata ad uscire da li presto o tardi. Poi qualcosa scricchiolò, un'ombra si avvicinò a lei e la giovane ragazza si ritrovò a dover fare i conti con battiti cardiaci palesemente fuori dalla norma. Iniziò perfino a sudare freddo nonostante la lieve brezza di fine ottobre. Le sue dolci e pallide mani s'irrigidirono e il suo corpo si immobilizzò come il marmo. Sapeva che se da un momento all'altro fosse sbucato qualcuno di relativamente pericoloso avrebbe dovuto iniziare a correre, anche se non sapeva dove. Immaginò più volte una possibile fuga, stando attenta a quei rumori che ogni tanto le giungevano alle orecchie. Se fosse stata ferma dov'era senza muoversi forse chiunque ci fosse stato insieme a lei in quel momento non l'avrebbe vista e quando se ne sarebbe andato avrebbe potuto scappare da qualche parte, verso la città se ci riusciva.
Iniziò a credere che tutti quei rumori forse fossero solo frutto della sua fantasia, ma per quanto si sforzasse non riusciva a smettere di tremare. Decise che avrebbe provato ad incamminarsi verso una possibile uscita e nel tentativo di farlo qualcuno l'afferrò da dietro, coprendole la bocca con una mano e strattonandola bruscamente da una parte all'altra, mentre veniva trasportata via verso chissà dove. Nel tentativo di liberarsi, mentre si dimenava, colpì solo dei poveri sassi e un'unica volta il ginocchio destro del suo aggressore. Qualche metro più in là rispetto al punto in cui era stata presa, più vicini alla strada ma ancora nel bosco, questi la lasciò, mostrando così la sua vera identità. Non fu colta da sorpresa o sgomento alla vista del suo viso, come forse avrebbe fatto chiunque. No assolutamente, no. Lei rimase semplicemente impassibile, un po' più sull'arrabbiato forse, ma di certo non diede libero sfogo a quello che stava provando.
Il suo cuore batteva ancora terribilmente forte, ma le mani si erano rilassate e il sudore stava diminuendo precipitosamente. Si sistemò una ciocca di capelli viola dietro l'orecchio e si scrollò di dosso la terra che, nel momento del rapimento, le era volata addosso.
Guardò per qualche minuto gli occhi di fronte a se, chiedendosi cosa stessero pensando, cosa avevano intenzione di dirle. Erano forse gli occhi più belli che avesse mai visto, di un nocciola scuro penetrante e intenso. Sapeva che dovevano per forza dirle qualcosa, non potevano stare li a fissarla e basta come se nulla fosse, dovevano darle delle spiegazioni.
Però non lo fecero.
Quasi sconfortata dal poco coraggio che quegli occhi avevano ben nascosto facendole credere fossero invincibili, parlò.
Lo sussurrò appena, ma quanto bastava per attirare la sua attenzione e ricominciare a farle battere forte il cuore, quasi volesse uscirle dal petto. «Calum...»

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Tadaaaa, finale a sorpersa!
Quanto amo creare suspense...
Comunque grazie mille per i 90 lettori su questa storia e per i 295 sull'altra (che per chi non lo sapesse si chiama Like Leaves), anche se molto probabilmente la eliminerò o smetterò di aggiornarla perché non mi piace più. :c
Va bene dai ora vado, come sempre fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto e se si stellinatelo!
Bye Bye. xx

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