Il giorno seguente a scuola Calum sembrava non ricordarsi nemmeno più dell'esistenza di Jessica. Non solo perché non l'aveva salutata, quello era il meno, ma perché le era inciampato addosso facendola cadere per il corridoio e non le aveva nemmeno chiesto come stava, alzandosi ridendo come se nulla fosse e ritornando dai suoi compagni.
Fu alla fine delle lezione che sembrò riaffiorare nella sua mente il pensiero di lei. «Ciao» disse all'uscita, ancora una volta tra gli ultimi e ancora una volta appoggiato sullo stipite. Jessica si limitò a guardarlo male e a sistemarsi lo zaino in spalla, per poi continuare nella sua direzione.
«Hey cosa c'è che non va?» domandò Calum raggiungendola di corsa, col fiatone e i capelli castani scompigliati dal vento autunnale.
«Ciao» rispose la ragazza senza voltarsi, «Ti ho fatto qualcosa?» chiese di nuovo, «No» disse secca, «Ok allora a domani».
Si girò verso di lui nell'esatto istante in cui lui stesso svoltava verso sinistra per tornare a casa, giusto in tempo però per accorgersi di un grande sorriso stampato sul suo volto e di una mano che veniva agitata da destra a sinistra verso di lei. Involontariamente le si stampò sul volto un lieve sorriso che tenne incosciente fino a casa, finché sua madre non le chiese il perché e lei se ne accorse rabbuiandosi subito. Mangiò in fretta la pasta che sua madre non le aveva cucinato come sempre, ma aveva dovuto prepararsi da sola, e filò rapidamente in camera. Esasperata si buttò sul letto, aveva tenuto quel sorrisetto ebete per tutta la strada del ritorno? E se qualcuno se ne fosse accorto? Scosse la testa, ricordandosi che nessuno si accorgeva di lei e quindi, per logica, nessuno doveva essersi accorto se avesse avuto le labbra leggermente all'insù o meno.
Jessica non era una ragazza incredibilmente studiosa, ma non aveva nulla in contrario con la scuola come invece suoi certi compagni. Semplicemente era una di quelle ragazze che non studiavano tanto ma riuscivano sempre a prendere minimo un sette o un otto e questo le era stato utile più d'una volta.
Quel giorno però era davvero troppo incasinata riguardo a Calum che prima faceva finta di non conoscerla e poi le sorrideva addirittura, a sua mamma che non era mai presente per lei e a tutta una serie di altre pessime cose che avevano iniziato a far parte della sua routine quotidiana. Così prese snervata il suo gatto, Kebab, dal letto e se lo buttò sulle gambe subito dopo essersi seduta alla scrivania di camera sua ed aver aperto il libro. Kebab era un bel incrocio, nero con una macchiolina a forma di luna sopra il naso, esattamente tra i due teneri occhi verdi, e una piccola coda pelosa, ed era stato scelto quel nome per il semplice fatto che in uno dei primi giorni in cui Jessica lo aveva portato a casa di nascosto e gli aveva dato segretamente degli avanzi al termine della cena, per l'appunto a base di kebab, il piccolo ne era andato matto. Ora ovviamente tutti in famiglia erano alla conoscenza della sua esistenza e poteva liberamente girare per la casa o in cortile senza che nessuno avesse da ridire.
Dopo aver sfogliato svogliatamente il diario e aver letto la consegna di latino le squillò il telefono. Lo prese da sotto l'astuccio e lesse il messaggio, «Ciao Jess sono Calum ;)».
Una delle prime cose che pensò fu il perché della scelta del soprannome. Nessuno l'aveva mai chiamata Jess e non si aspettava che nessuno l'avrebbe mai fatto. La seconda cosa fu certamente il perché di quel messaggio, dato che i due non si erano mai sentiti. E la terza come mai uno come Calum avesse sprecato del suo tempo per scriverle uno stupido messaggio. Rimase a lungo incerta su cosa scrivergli e alla fine optò per un semplice e tattico «Hey», aspettando cinque minuti buoni una risposta.
Che non arrivo.
O per lo meno non arrivò fino a sei minuti dopo l'arrivo del primo messaggio, quando aveva appena riposizionato il cellulare sotto l'astuccio nero della Eastpak.
STAI LEGGENDO
Impracticable.
Romance“Lei era strana. Lui era popolare. Ciò che cercavano di realizzare era impraticabile.„