Tic tac. Tic tac. Tic tac. Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac. L'immenso orologio fatto di vetro e vetro, rumoreggiava silenziosamente nella camera di Alessandro, un Alessandro fin troppo pigro per volersi alzare dal proprio letto.
"Si sta così bene sotto le coperte" si scusò, "perché alzarmi se posso riposare su questo mormido materasso fatto di sogni". Ma, evidentemente non aveva ancora realizzato che si doveva alzare perché se fosse arrivato in ritardo a scuola, il professore di ginnastica gli avrebbe fatto fare il doppio dei soliti giri di campo.
Il ragazzo, rivolgendosi ad una tazza di caffè ormai fredda, sussurrò: «Che palle avere ginnastica le prime due, se fosse per me abolirei educazione fisica». In Effetti, lui odiava fortemente con tutto il cuore muoversi, fare sport, faticare, sudare come delle capre incalore. Bleah che schifo il sudore, non lo sopportava proprio.
Assonnato come non mai, l'omonimo di Manzoni si diresse verso la stazione del treno. Non era poi così lontana da casa sua, ma una decina di minuti ci volevano per raggiungerla. La strada più breve per arrivarvici era un sentiero seminascosto da una grande fila di querce secolari. Quelle querce erano il solo orgoglio del paesino in cui viveva Alessandro, Nifaccio. Quella stradicciola era fatta da pietre grige nebbiose incastonate perfettamente una all'altra. Ogni volta che lui l'attraversava, fissava stupito quelle pietre, e in un certo senso lo rilassavano.
Ma oggi, oggi lui non si poteva permettere di fissare il sentiero, era fin troppo in ritardo, se non si fosse sbrigato, avrebbe perso il treno per la città di Corsaro, in cui si trovava il liceo che frequentava.
Dopo aver incominciato a camminare abbastanza velocemente, si accorse che era troppo lento, quindi prese un respiro profondo, e cominciò a correre all'impazzata, con lo zaino pesantissimo in spalle e la sacca di ginnastica legata ad una mano.
Arrivò in stazione tutto rosso in faccia e madido di sudore, proprio mentre il treno arrivò. Come sempre, i posti a sedere stentavano ad esserci, con tutti gli studenti, gli anziani e i pendolari che c'erano. Ma, per sua grande fortuna, trovò una sedia pieghevole vicino ai portoni che si aprivano e chiudevano ad ogni fermata, come una bocca che parlando muove le labbra.
Ora avrebbe avuto tutto il tempo di riposarsi, sarebbero passati più di un ora per arrivare a destinazione.
Decise che un pisolino era l'opzione più adeguata. Cominciò a socchiudere gli occhi, e poi a chiuderli, ma...
«Signore scusi tanto, ha visto percaso uno che si chiama Alessandro, altino, occhi grigi, moro... Sapete, lui non fa altro che dormire, prima o poi si addormentarà sui fornelli della cucina... non so che farebbe se non ci fossi io». La voce di una ragazza riempiva le orecchie di un esemplare di Alessandro che non poteva più dormire. «hey, sei tu. Ciao anche a te Chiara». Aprì gli occhi e si trovò di fronte a sé una ragazza sorridente dai capelli rossi, con gli occhi verdi pistacchio che ballavano da ogni parte, ma restando sempre dentro quei suoi grandi occhialoni. Il suo sorriso mostrava un apparecchio bluastro che ricordava il mare, contagiando tutti. Le sue lentiggini mettevano in risalto il suo viso, facendo essere Chiara una ragazza cui era difficile non notarla, infatti in quel momento la stavano guardando tutti, chi più chi meno. Insomma, proprio quello che ci voleva a lui: una bibita energetica umana dai capelli rossi che riuscisse a fargli fare più movimenti oltre a quello di aprire e chiudere gli occhi.
«Alessandro Simone Ernesto Gianpierfrancesco Tiziano Benedetto Bussinotti, non chiamarmi mai più Chiara, chiaro?» La ragazza si mise a ridere. Fare giochi di parole, battute o freddure di questo genere non le piaceva un sacco, ma due.
«Ok, Margherita.» Gli stava per venire il mal d'auto vedendo quella ragazza che non riusciva a stare ferma. «Vedo che sei molto entusiasta del ritorno a scuola» non riuscì a trattenere un sogghigno.
«Oh sì sono così felice di non aver ricevuto la mia lettera per Hogwarts anche quest'anno, sono la persona più felice e allegra di questo mondo, proprio così.»
«Sarcasmo?» non riusciva mai a capire quando una persona era sarcastica o meno; era come uno Sheldon Cooper quattordicenne.
«Certo che lo è idiota, ma secondo te... non ti avevo detto di allenarti con questa cosa del sarcasmo l'ultima volta che ci siamo visti?»
«Ed io ti avevo detto di bere una camomilla ogni tanto, ma ti stai muovendo come tante bolle di sapone che nascono in un cielo rigoglioso di vento.»
«Aw ma quanto sei poetico, ti adoro Ale.»
Lui cominciò ad arrossire tremendamente. L'aveva fatto di nuovo, non ne poteva fare a meno. Cominciò a scrivere (testi, racconti, ma soprattutto poesie) quando ancora faceva la seconda media. L'usanza di figure retoriche per lui ormai era diventata un'abitudine, tant'è che le usava senza nemmeno pensarci. «Emh... sì, grazie Marghe, anche io ti adoro» Alessandro provò a sbiascicare quelle parole con fermezza come Margherita, ma era fin troppo introverso.
«Sei il migliore Ale, ma ora alzati che siamo arrivati alla nostra destinazione: la scuola!! Non sei felice?»
«Sì sono felice.»
«Bro lascia stare, il sarcasmo non fa per te. Dai andiamo, ci aspettano due ore piene di sudore e deodorante.»
STAI LEGGENDO
Orologi e caramelle
General FictionNon vorrei spoilerati niente ok Buona lettura, spero tanto che ti piaccia