Mascara e rossetto

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Nessun fragore.
Se ne stava ferma, fissando il soffitto, sdraiata sul letto. Era il suo passatempo preferito. Non che abbia molta scelta; non poteva permettersi di svagarsi più di tanto.
Orfana da quando aveva la memoria, gli unici ricordi che aveva dei suoi genitori erano solo un paio di foto ingiallite, che fissava tutte le volte che si sentiva sola.
Ogni settimana i suoi nonni materni le facevano visita, portandole allegria in quella casa vuota.
Le avevano proposto di andare a vivere con loro, ma aveva rifiutato perché non voleva seccarli troppo, e poi con tutte le loro malattie, incaricarsi di badare una quattordicenne sarebbe stato fin troppo faticoso. Ma non ce l'avrebbe mai fatta a vivere da sola, sarebbe morta di fame dopo solo una settimana.
Così i genitori di sua madre le portavano cibo e occorrente per sopravvivere, l'aiutavano a fare le pulizie di casa (cioè solo delle stanze che usava, la cucina, la camera da letto dei suoi e il bagno), e le davano ottimi consigli su come andare avanti.
Un lato negativo era che però doveva pagarsi l'affitto da sola. I suoi nonni contribuivano, ma lei doveva acuire buona parte del denaro. Proprio per questo Carlotta cominciò a lavorare in nero come lavapiatti presso un ristorante nel centro della città di Asconte, a solo qualche paia di fermate dell'autobus da casa sua.
Oltre che a dover lavorare illegalmente, un altro problema era anche la scuola: alcune volte era davvero difficile trovare il tempo di studiare e fare i compiti.
È per questo motivo che quando ne aveva l'opportunità, chiedeva sempre ad un suo amico di aiutarla con lo studio.
Aveva notato quanto Alessandro fosse bravo in Letteratura, e visto che la prossima settimana avevano la verifica, decise di chiedere aiuto proprio a lui.
Non lo diceva mai a nessuno, ma aveva sempre avuto una cotta per quel tenero e calmo ragazzo. Lo fissava sempre quando, durante ogni ricreazione, scriveva con movimenti dolcemente fluidi sul suo quaderno chissà quale poesia. Sapeva tutto di lui: da dove abitasse, ai suoi hobby, dal suo colore preferito alla sfumatura nera che aveva negli occhi.
Era dalla prima media che si voleva dichiarare, e l'occasione perfetta le si presentò in quella tiepida mattina, in un post-lezione di ginnastica di un lunedì invernale.
La fatica che consumò nel proporgli di studiare a casa sua e non in biblioteca fu tale che in quel momento si sentiva che stava quasi per svenire. Affrontare la sua timidezza non era affatto facile, e inoltre l'altrettanta timidezza di Alessandro non faceva che peggiorare le cose. Ma alla fine ce l'aveva fatta, e non se ne pentiva per niente. Quel pomeriggio fu il migliore della sua vita. O il peggiore. Con tutte le figuracce che fece, non si sarebbe stupita se Alessandro non le avesae rivolto più la parola. Comunque quel giorno aveva potuto ammirare la bellezza di Alessandro per tanto, tanto tempo, e questo era il meglio che potesse chiedere.
L'unica cosa che non le piacque fu il comportamento del ragazzo. Sembrava quasi... ecco, come poteva dirlo... spaventato.
<<Spaventato.>> la voce di Carlotta rieccheggiò per tutta la casa.
Il mascara nero regalatole da sua nonna si tramutò in due piccoli fiumiciattoli: lacrime scure come i capelli di Severus Piton sgorgarono a non finire, macchiandole il viso affranto, oltre che il materasso su cui era sdraiata.
Solo ora si rese conto che l'impressione data alla sua cotta non fu una delle migliori, sembrava un vampiro emo che ammazzava la luce per lavoro. "Spaventato". Ovvio che era spaventato, già tanto che non sia scappato urlante nel vedere quel buco polveroso senza luce in cui viveva.

Passarono ore, e Carlotta stava ancora singhiozzando. Tremante si alzò, e guardò la macchia nera che aveva formato il suo mascara sul materasso.
Andò in cucina e si scaldò nel microonde del cibo precotto.

Drin drin. Drin drin. Drin drin. Drin drin. Drin drin. Drin. Drin. Drin. Drin. Un rumore fastidioso proveniva dalla sala. Carlotta si precipitò subito a rispondere a quella vecchia carcassa del 1264 che era il suo telefono.
«Pvonto?«»
«...»
«Capisco... e tu come fai a sapevlo?»
«...»
«Impossibile, non lo favebbe mai. Non ti dico quello che mi è successo oggi.»
«...»
«Ok, va bene, te lo dico domani. Ma ova tu spiegami meglio quello che hai scopevto»
«...»
«Mhh... non ne savei così sicuva io, ma vabbè incvocio le dita, ciao a domani.»
«...»
Chiara, quanto poteva amare quella ragazza.
Il rossetto di Carlotta si curvò in un flebile sorriso, al pensiero di quello che le potrebbe accadere domani mattina.

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