Tic tac. Tic tac. Tic tac. Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac. I ticchettii di un massiccio orologio bianco grande quanto la facciona di Vernon Dursley riempivano una classe priva degli studenti di un silenzio inquietante.
Erano le 9:50, e la classe in questione era la 1Dsa (scienze applicate), e spesso quelle tre lettere venivano cambiate ironicamente in Disturbi Scolastici dell'Apprendimento.
Fuori da quell'aula, la situazione era molto più mossa: ragazzi che passavano ogni tanto nel corridoio, alcuni professori che giravano di classe in classe chissà per quale scopo, altri che urlavano ai propri studenti che erano i peggiori dell'istituto, bidelli che pulivano e svuotavano i bidoni della spazzatura...
una normalissima giornata per una scuola liceale.
Però, c'era quell'unica aula in cui regnava la quiete più assoluta, rotta soltanto dai rintocchi dell'orologio.
Erano passati circa 5 minuti, e la campanella della prima ricreazione suonò, coprendo del tutto il rumore del sosia della faccia di Vernon. Improvvisamente, una folla di studenti cominciò ad entrare nella classe. Tutti parlavano, discutevano, ridevano, scherzavano, e soprattutto mangiavano.
Margherita non era da meno: stava divorando un panino più grande di lei con prosciutto crudo e maionese.
«Marghe, ma sei sicura che lo finirai tutto?» Anche lui stava mangiando, ma solamente un pacchetto di cracker.
«Non ti preoccupare Ale, ho mangiato panini ben più grandi di questo in vita mia.»
«Se lo dici tu...»
E quindi la ragazza si allontanò, dirigendosi verso le sue amiche.
Lui tornò a sgranocchiare il suo cibo, e in quel momento una ragazza con addosso un sacco di vernice bianca e vestita completamente di nero, come i suoi capelli liberamente sciolti, gli andò incontro.
«Ciao Ale, come va?»
«Ciao Carlotta.» si era dimenticato che lei non riusciva a dire la lettera r, e il ragazzo si fece sfuggire una piccola risata. «Sono un po' stanco, ma del resto tutto bene, piuttosto tu... Che ci fai con tutta quella vernice bianca sulla pelle?»
«Vevnice? Quale vevnice? Questa è la mia cavnagione natuvale.»
«Ah... scusami... cioè non volevo offenderti.»
«Non ti pveoccupave.»
La ragazza assunse uno sguardo imbarazzato, ed era talmente pallida che si riusciva a distinguere anche il minimo rossore. «Hey, senti... Non è che mi potvesti aiutave a fave i compiti di lettevatuva questo pomeviggio?»
«Emh... sì certo, volentieri... a che ora?»
«Vevso le quattvo savebbe pevfetto.»
«Ottimo, ci vediamo nella biblioteca della scuola allora.»
«Oh, bè... Io vevamente ho pensato di incontvavci a casa mia, ti va?»
In quell'istante Alessandro si bloccò, non riusciva a muovere un muscolo.
Anche Carlotta non riusciva a fare niente, sembrava quasi che stesse per piangere, le sue guance erano più rosse della lava incandescente.
Seguì un silenzio alquanto imbarazzante, e il ragazzo non sapeva proprio che fare.
E all'improvviso, arrivò la sua salvezza.
«Ale sarà entusiasta di venire a casa tua, Cavlotta.» Margherita lo stava abbracciando alle spalle mentre pronunciava quelle parole.
La risposta di Carlotta fu: scappare via. La timidezza di quella ragazza riusciva a superare persino quella di Ale, il che è tutto dire.
«Ommioddio Ale, ommioddio.»
«Faremo solo i compiti di Lettevatura, niente di che...»
«Non so te, ma secondo me per "compiti di letteratura" intendeva "appuntamento romantico"»
A questo punto Margherita emise uno strano verso simile a un fischio, mentre agitava le braccia con entusiasmo. Ne sapeva poco di queste cose, ma gli sembrava di capire che quell'azione avesse un nome ben preciso: sclero.
La campanella suonò, ed tutti gli alunni si diressero verso i loro banchi.
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Orologi e caramelle
Ficción GeneralNon vorrei spoilerati niente ok Buona lettura, spero tanto che ti piaccia