Prologo

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Camelia: il mio destino è nelle tue mani.

Prologo

"Lasciai che l'azzurro dei suoi occhi mi entrasse dentro, toccando le ferite del mio cuore."

Londra,1856.

Quella sera faceva decisamente molto freddo lungo le strade innevate di Londra. Il mio cappotto non riusciva a riscaldarmi per via dei numerosi buchi in cui entrava il vento, facendomi rabbrividire tutte le volte. Ero seduta su un marciapiede, a riposarmi dopo una lunga serata a vendere quei stupidi fiammiferi che mi permettevano di dare a Diana, la mia piccola sorella di 8 anni, uno stile di vita al quanto accettabile. Le compravo sempre la stoffa più bella, e durante la notte, prima di andare a lavorare dal Signor Benjamin Wilson, il panettiere che ci ospitava in cambio di aiuto nella sua bottega, le cucivo un bel vestito o una gonna così ché potesse andare a scuola tranquillamente. Non dormivo da settimane ormai. Da quando avevamo lasciato l'orfanotrofio la vita era dura, soprattutto per me, ma poco importava adesso. Ero libera e preferivo lavorare duramente per me e Diana che restare rinchiusa lì dentro con la Signora Robinson, la direttrice di quell'inferno. Diana adesso andava a scuola con altri bambini della sua età, era felice e sempre sorridente e nulla poteva competere con la sua gioia, neppure le fatiche più intense. La mia giornata era molto piena, nonostante ciò riuscivo sempre a tagliare un po' di tempo da dedicare a Diana. Infatti dopo la scuola la portavo con me nella bottega di scarpe del Signor Adams, così mentre io lavoravo lei faceva i suoi compiti e giocava con Mark Adams, il figlio. Era un ragazzo bellissimo dagli occhi color argento, mai visti fino ad allora, aveva i capelli biondi come fili d'oro puro e un sorriso da togliere il fiato. Era il mio più caro amico qui in città, se non l'unico, avevamo la stessa età e un sogno in comune: scoprire l'America. Mi aiutava tantissimo con Diana, forse per compassione o forse perché c'era qualcosa in più da parte sua che una semplice amicizia. Ma io ero una stracciona, andavo in giro con le scarpe e il cappotto bucato, la gonna rappezzata e la faccia sporca di fuliggine per via del mio terzo lavoro. Tutto questo lo facevo solo per mia sorella, e non bastava. Non riuscivamo neppure ad arrivare a fine mese, nonostante non pagassimo l'affitto. Era straziante. Eppure non c'era niente di assolutamente perfetto come un "Ti voglio bene, Rosemary." detto con quella vocina piccola e dolce di Diana. Mi dava la forza per andare avanti ed affrontare la mia giornata al meglio. Diana era tutto ciò che restava della mia famiglia. Dovevo salvaguardarla, rendere la sua vita migliore. Ed era una promessa che avevo fatto a me stessa il giorno in cui avevo lasciato l'orfanotrofio di Londra insieme a lei. Quei piccoli fiammiferi che vendevo ogni sera mi davano la forza per lottare contro questa vita dura e amara. Erano come i miei angeli custodi. C'era sempre qualcuno che li comprava e mi lasciava qualche moneta in più. Magari ritornavo a casa con un sorriso soddisfatto in faccia e Diana diceva "Brava, sorellina". Ed i miei sforzi erano stati subito ripagati. Ma questo non bastava più, dovevo trovarmi un altro lavoro ben pagato e vivere serenamente per qualche tempo, fino a quando non avremmo avuto abbastanza soldi per comprare una casa tutta nostra.

«Rosemary.» una voce preoccupata bloccò il flusso dei miei pensieri. Ero ancora seduta su quel marciapiede freddo a cercare qualcuno che potesse comprare i miei fiammiferi. Alzai lo sguardo e i miei occhi marroni incontrarono quelli chiari di Mark, che sorridendo mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi.

«Mark.» presi la sua mano e lui mi attirò a sé, facendo scontrare i nostri corpi. Era così caldo che lo abbracciai e mi strinsi di più a lui per sentire quel calore piacevole che mi stava confortando.

«Stai congelando, Rosemary.» strofinò le sue mani lungo la mia schiena riscaldandomi. «Ti prego, torna a casa, fa troppo freddo stasera.» mi supplicò con un filo di voce. Aveva ragione, quella sera faceva più freddo del solito e avrei rischiato di prendere la febbre e non andare a lavoro, e questo non era affatto una buona cosa.

«Ho ancora due pacchi di fiammiferi da vendere, Mark.» spiegai debolmente. Quei soldi mi avrebbero fatto comodo per il resto della settimana, e poi c'erano i libri di Diana da comprare che la maestra aveva consigliato di leggere e di certo non potevo deluderla.

«Ci penserai domani, non puoi ammalarti.» rispose duramente.

«Non voglio deludere Diana. Devo comprarle il libro della Austen o i suoi compagni di classe la prenderanno in giro.» ribadii, stanca. Avevo solo bisogno di una bella dormita rigenerante.

«Ci penso io al libro, Rosemary.» sussurrò dolcemente prendendomi il viso tra le sue mani calde.

«Mark, non voglio che tu..» Mark posizionò il suo indice sulle mie labbra interrompendo le mie parole.

«Non farò nulla che tu non voglia, semplicemente conosco qualcuno che può procurarmelo senza denaro.» sospirai pesantemente chiudendo gli occhi.

«D'accordo.» accettai, sconfitta.

«Adesso ti accompagno a casa.» annuii felicemente. Adoravo quando Mark era dolce con me, gli volevo bene come un fratello. Lui si prendeva cura di me sempre, per ogni singola cosa e cosa più importante era che in questi mesi non mi aveva mai lasciato una volta da sola. Camminammo uno affianco all'altro per tutto il tempo, scherzando e ridendo delle cose più stupide. Mark mi aiutava a non pensare ai miei problemi, almeno per qualche minuto, e ci riusciva sempre. Mi piaceva il suo modo di approcciarsi con me, pacato, dolce e piacevole. Non era uno di quei ragazzi dell'Alta Borghesia che trattavano le donne come fossero le loro schiave, Mark era un gentiluomo. Uno di quelli che era raro trovare. Il principe azzurro di tutte le favole. Ci scambiammo qualche abbraccio prima che Mark mi salutasse. Salii le scale ed entrai in casa. Diana stava dormendo, ed io in punta di piedi mi lasciai andare sul letto, ancora sognante.

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