Capitolo 5

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New York city, 1998

"Togliti di mezzo idiota! Non vedi che è verde?" - gridò il conducente del veicolo dietro di me facendomi ridestare dai miei pensieri.
Senza pensarci schiacciai l'acceleratore e cominciai a saettare per le strade della città, fino ad arrivare alla sede giornalistica di mio padre, la BE&CO (Bruce's Enterprise and Company). Corsi trafelato verso l'entrata per cercare di attenuare lo sgradevole ritardo e una volta entrato, Johanna, la segretaria, mi accolse con una smorfia di disappunto.
"Posso fare qualcosa per lei, Signor.." - esordì infastidita, probabilmente per via della mia aria trasandata e affaticata - "Sono il figlio di Kevin Bruce, quindi no grazie, non mi serve nulla" - rispondo con insolenza - " anzi forse un caffè non sarebbe male, me lo porti nell'ufficio di mio padre cortesemente" - continuai.
Lei per un attimo impallidí, poi cominciò a balbettare confusa. Adoravo rimettere in riga gli stronzi.
"M..ma, ma certo! Mi scusi tanto, è che.. Che non sapevo.."-"Esattamente, non sapeva, per cui se avesse accolto un potenziale cliente in questa maniera sarebbe stato ancora peggio. La prossima volta che userà un tono di una tale sufficienza la farò licenziare in tronco" - dissi infine piantandola dietro la sua scrivania, col viso paonazzo di vergogna. Raggiunsi l'ufficio di mio padre al nono piano utilizzando l'immenso ascensore la cui vista dava sulla panoramica della città, che osservata dall'alto, sembrava un immenso formicaio colorato.
Preparati Mondo, sto arrivando..
pensai tra me e me sogghignando mentre le ante dell'ascensore si aprivano per catapultarmi in un immenso corridoio dalle pareti color magenta, il pavimento in parqué ed eleganti lucernari che si alternavano tra una porta e l'altra.
Mio padre era un uomo di classe, non amava le banalità.
Il trillo dei telefoni mi investì come un treno in corsa, decine di persone sfilavano frettolosamente davanti a me da una parte all'altra e l'aria era carica di tensione. Cercai di farmi largo in quel labirinto di corpi umani fino a raggiungere la porta in legno massiccio con la luccicante insegna dorata che segnava il suo nome, Kevin Bruce.
"Buongio.." - "Fossi in te mi leverei quel cazzo di sorrisetto dalla faccia" -  esordì mio padre una volta entrato. Mi ammutolii all'istante, consapevole non solo che se avessimo iniziato a discutere avrebbe vinto, ma che mi sarei rovinato il primo giorno di lavoro.
"Quarantacinque minuti di ritardo il primo giorno di lavoro, e la cosa che più mi disarma è che ci svegliamo alla stessa ora!" - trattengo una risatina sotto i baffi per la sua effettivamente legittima reazione, ma dopo aver ricevuto una occhiata truce mi ricomposi.
"Hai ragione papà, mi dispiace, c'era molto traffico.." - "Allora uno, non siamo a scuola per cui non voglio sentire giustificazioni del cazzo, due, non pensare di conoscere questa fottuta città meglio di me e tre, hai le fottute ascelle sudate, quindi fila a lavarti!" - mio padre era un campione nel mettere a disagio le persone, ma anni e anni di abitudine avevano fatto sì che certe cose non mi scalfissero più; al contrario, risi di gusto.
Continuó a brontolare col suo fare scorbutico e io nel mentre andai in bagno a darmi una rinfrescata, perché effettivamente facevo pietà.
Quando il riflesso nello specchio mi soddisfó abbastanza, decisi di tornare nell'ufficio di mio padre, ma poco prima di entrare, la segretaria sgattaioló via con affanno e i capelli arruffati.
"Vedo che non perdi un colpo" - dissi con sarcasmo sedendomi di fronte a lui, cogliendolo nell'attimo in cui si richiudeva la patta dei pantaloni.
Senza guardarmi rispose, con una certa insofferenza : - "Tua madre manca da più di un anno ormai" - ed io in quel momento non potei controbattere.
Il caffè che mi era stato portato si era già sfreddato, e per paura che vi fosse arrivato qualche elemento di natura liquida estranea, lo buttai.
Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante, papà mi diede finalmente tutte le direttive necessarie. Sarei stato il suo vice, quindi avrei lavorato nell'ufficio accanto al suo ma mi avrebbe fatto fare comunque molta pratica.
Il primo caso a cui dovetti lavorare si trattò di cercare di intervistare qualche celebrità che non voleva essere infastidita, successivamente passai a qualche pezzo grosso di varie multinazionali, diversi criminali e un paio di senatori.
Lavorai senza sosta per quasi due anni, facevo avanti e indietro tra uno stato e l'altro, alle volte mi capitavano delle gaffe così imbarazzanti o pericolose che mi costrinsero a defilarmi per qualche tempo e riuscii anche ad avere delle storielle, sfortunatamente nulla di serio.
Ammetto che sulla soglia dei 30, il desiderio di avere una compagna e magari dei figli cominciava a farsi sentire, ma a causa del mio lavoro era molto difficile, ancora non potevo garantire un'effettiva stabilità.
In poche parole, mi sentivo tremendamente solo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 12, 2019 ⏰

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