Nineth

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Sono passate due settimane da quando abbiamo scoperto il collegamento tra la Moleskine e il bigliettino che hai lasciato ad Ashton, ma non è comunque cambiato nulla.

Mi alzo alla stessa ora di tutti i giorni e alle nove in punto mi lascio dietro la mia casa fati di scatoloni e stoviglie da lavare, per entrare nella sala tiepida del Curry Freeze.

Il mercoledì si rivela una giornata morta, così passo le ore seduto su uno sgabello a sorseggiare il tè verde che non compra mai nessuno. Ha un odore orribile e il sapore è anche peggio, ma non devo pagarlo quindi me lo faccio piacere.

Chris arriva un'ora dopo l'ora di pranzo, quando chiudo il registratore di cassa dopo aver servito un gruppo di ragazzini in pausa pranzo. Lo osservo mentre si siede sul marciapiede davanti il suo vecchio bar e mi giro il filtro di una sigaretta tra le dita. Ogni giorno che passa sembra sempre più sconsolato.

Il tuo taccuino è sbadatamente poggiato sul bancone di legno, dove l'abbiamo lasciato io e Ashton tempo fa. Dopo aver capito che trovare uno dei tuoi indizi non equivale ad aver risolto il rompicapo, ci siamo lasciati affogare da un oceano di rassegnazione.

Quando mi iniziano a prudere i palmi dall'irritazione, mi alzo in piedi e inizio a scaricare la lavastoviglie, sciacquando i cocci a mano. Riesco a strofinare via i pensieri per una manciata di minuti, poi mi asciugo minuziosamente le mani con uno strofinaccio e cerco la prossima distrazione.

Finisco per lavarmi anche le lunette delle unghie e le ossa sporgenti dei polsi, più di tre volte. Mi fermo solo quando mi inizia a bruciare la pelle.

Poi si apre la porta e Ashton entra trascinandosi dietro qualcuno. Si sposta i ricci dalla fronte sudata e si appoggia con un gomito al bancone, lanciando uno sguardo alla Moleskine con la coda dell'occhio.

"Dammi un bicchiere d'acqua, si muore di caldo!".

La sua voce mi arriva ovattata, distante, però annuisco e lascio scorrere il lavandino fino a riempire una tazza da caffè. Michael si copre le mani con le maniche della felpa e guarda insistentemente il pavimento, non sapendo esattamente su che piastrella soffermarsi. Ci guardiamo brevemente e per un istante mi si impiglia il respiro in gola.

Ha ancora lo stesso sguardo spento, ma almeno i suoi occhi non sono più sommersi di lacrime. Non lo vedo con le guance asciutte da mesi.

Michael sussulta visibilmente e accenna un passio verso l'uscita, stringendosi nelle spalle. Rimango in silenzio e gli riempio un bicchiere d'acqua. Lo guarda con una certa insistenza, però non lo afferra e invece lancia un'occhiata fulminea ad Ashton. Io lo imito e carico il mio sguardo di confusione e nervosismo.

"Potresti spiegarmi dove sei finito ultimamente?" gli abbaio contro, più scontroso del necessario. Lui però ci è abituato e non ci fa nemmeno caso.

"A casa. A lavoro. In giro" risponde, con forzata disinvoltura. "Faccio le stesse cose che fai tu".

"Non ti sei fatto sentire per niente" rispondo, stringendo i pugni.

Mi torna alla mente il giorno in cui mi disse che se ne andava in Inghilterra, quando mi aveva guardato con gli occhi sbavati di sale e i dorsi delle mani completamente bagnati.

Strizzo le palpebre per allontanare la pesantezza del passato e lo guardo dritto in faccia. Ignoro Michael che intanto si è seduto su uno sgabello, a qualche metro di distanza. Riesco a malapena a guardarlo. È come se ci fossimo scordati come si coesiste in uno spazio così piccolo. La quantità di rancore e ricordi è soffocante.

"Tu non mi hai chiamato e comunque non pensavo avessimo bisogno di sentirci" dice Ashton, sorseggiando altra acqua.

Non rispondo, anche se mi si incendia la bocca dello stomaco e il fuoco mi brucia l'esofago perché vuole uscire.

Io invece ho avuto un tremendo bisogno che si presentasse sulla porta di casa mia senza preavviso, solo per stenderci sul tappeto e bere tè freddo e birra in silenzio.

"Perché oggi?" Domando invece, assicurandomi che Michael non sia andato via. Non lo vedo da quando vivevamo tutti insieme, ma è silenzioso come me lo ricordavo. Ashton lo guarda e alza un angolo della bocca in un mezzo sorriso.

"Ci siamo incontrati per caso e l'ho convinto a venire". Non so perché ma non gli credo, così sposto l'attenzione sul diretto interessato e aspetto che dica qualcosa.

"Mi ha detto che vuoi trovare Luke".

Quando parla lo fa con la gola chiusa e il fiato corto, come se lui avesse di nuovo sedici anni e il tuo nome fosse il suo primo tiro di sigaretta.

Mi si spalancano gli occhi e fisso Ashton, che afferra la Moleskine dal bancone e la sfoglia pigramente. Si sofferma sulle pagine più scribacchiate fino a giungere all'ultima.

"E ti interessa?" Ribatto, osservando il riccio che si sistema gli occhiali sul ponte del naso a punta e indica con un indice una zona precisa del foglio.

Michael osserva la lettera "A" scritta con l'inchiostro blu, nella tua inconfondibilmente disordinata calligrafia. Soffoca un singhiozzo e mi guarda, annuendo piano con la testa.

"Io so tutto" dice e "Me lo ha detto sua madre".

-Sempre tuo, Calum.


MY SPACE:

Sono passati sei mesi dall'ultimo aggiornamento, che bello essere puntuali. Comunque la serie è quasi finita e una volta terminata ho deciso di ri-editare e pubblicare tutte le storie in un unico libro intitolato "Always Yours". Amen. 

-Sara

Always Yours, Calum // 5sos (4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora