Eighth

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"È la felpa che ti ha dato Luke" ripeto sovrappensiero.

"Già. Avresti potuto pensarci su, prima di farmi la doccia con il tè verde".

Ashton passa ripetutamente le mani sulla chiazza, come se i suoi palmi  potessero porvi rimedio. 

"Quella felpa era di Luke. Lui ... la indossava".

Alza lo sguardo dal suo petto solo quando sente la mia voce risuonare all'interno del locale vuoto.

Le parole mi strisciano fuori dalla gola a fatica, quasi mi graffiassero la trachea al solo passaggio.

"Sì! Era sua. Puoi smettere di ripeterlo? Sembri pazzo" grugnisce Ashton, agguantando lo strofinaccio dalle mie mani e strofinandoselo vigorosamente sul collo e sulle tempie.

"Era sua!" esclamo, afferrandolo per il bavero d'impeto.

"Eureka! Adesso mollami. Ce l'ho comunque con te per avermi inzuppato i capelli di questa roba zuccherata".

Lo guardo in silenzio per qualche istante, stringendo i pugni per evitare di allungare una mano e rifilargli uno scappellotto sulla nuca.

"A volte la tua ignoranza mi lascia senza parole" gli dico invece, incrociando le braccia.

Lui mi guarda interdetto, con le labbra socchiuse e gli occhi più aperti del normale. 

Ha le sopracciglia sollevate e un ricciolo gli cade sulla lente degli occhiali da vista.

"Prima mi rovini i vestiti e ora mi insulti. Mi stai facendo venire voglia di prenderti a pugni".

Socchiudo gli occhi e mi avvicino con il busto al suo, al di là del bancone. 

"Ma non lo faccio, perché ti farei licenziare" aggiunge poco dopo, spingendomi una spalla con forza.

"Non è quello il motivo, ma facciamo finta che lo sia e concentriamoci su ciò che è importante adesso. La felpa".

La sua espressione interdetta non cambia. Si incupisce.

"Stai dicendo chenon sarei capace di suonartele? Incredibile!" sbuffa, gettando lo strofinaccio sul mio petto. Si è offeso.

"Ashton!" esclamo, interrompendo il suo costante borbottio di sottofondo.

"Che vuoi?" ribatte con veemenza. Riduce le labbra ad un broncio piuttosto infantile e si rimette a sedere sullo sgabello.

"La felpa" ribadisco, puntandola con il dito indice.

Ashton se la sfila e se la poggia sulle ginocchia, carezzandone le maniche per lisciare il tessuto spiegazzato.

"Era di Luke" ripeto.

"Lo so" la sua risposta è uno sbuffo. Il fiotto d'aria calda emesso dalle sue narici mi arriva dritto in faccia.

"Non ti ricordi?" il tono speranzoso con cui gli pongo la domanda sembra farlo rinvenire. 

Adesso mi guarda con lucidità, studiandomi il viso con minuziosa attenzione.

"Cosa?".

Il palmo della mia mano collide con un lato della sua testa. 

Ashton ondeggia pericolosamente a sinistra e il piede gli scivola dal piolo della sedia.

"Sei impossibile!" gli abbaio contro.

"Se smettessi di picchiarmi e mi spiegassi cosa ti passa per la testa sarei sicuramente più utile non credi? Porca miseria Calum, mi hai scambiato per un sacco da boxe?".

Mi stringo nelle spalle e mormoro una mezza scusa, evitando di guardarlo negli occhi mentre si massaggia la nuca con espressione dolorante.

"Non è facile spiegarti. Il mio cervello sta cercando di mettere tutti i pezzi insieme. Ma è così difficile! È come se avessi la risposta sotto gli occhi, ma fossi miope".

Gli occhi verdi di Ashton si riducono a due fessure. Mi spinge le sue nocche sulla fronte e sbuffa di nuovo.

"Adesso mi prendi pure in giro".

"No! Deficiente, cercavo di spiegarti cosa penso" mugugno, sfregandomi la testa.

"Bene. Dimmelo senza spingermi, schiaffeggiarmi o prendermi per i fondelli" ammonisce, putandomi un dito contro.

Alzo le mani in segno di resa e mi zittisco per un po'. 

"Mh, ti ricordi quanto sei tornato? Quando sei venuto a trovarmi al vecchio appartamento? Vivevamo tutti lì".

Abbassa lo sguardo di scatto, concentrandosi sulle dita incrociate sotto il bancone. Gli si intristiscono gli occhi.

"Mi hai chiuso la porta in faccia tre volte" annuisce pensieroso. 

"E quando Jodie mi ha fatto entrare hai provato a trascinarmi di nuovo fuori".

Quando pronuncia il suo nome chiudo gli occhi e li strizzo forte. 

La sensazione che provo è la stessa che spremere succo di limone su una ferita aperta.

"Poi ti ho lasciato entrare. Siamo andati in cucina e mi hai spiegato tutto" continuo, incrociando il suo sguardo.

Ci osserviamo per qualche istante in silenzio.

Il suo viso si illumina, lentamente, come una fiamma che torna a respirare dopo essere stata intrappolata sotto una campana di vetro.

"Il bigliettino" mormora.

"Cosa?"

"Il bigliettino! Nella felpa!" si alza in piedi di scatto e controlla le tasche dei jeans freneticamente.

Tira fuori il portafoglio e da una tasca interna estrae un pezzo di carta della grandezza di una cartolina.

È tutto spiegazzato e principalmente bianco. Sui lati ci sono chiazze marroncine, di caffè sbiadito. 

Mi si chiude la gola. 

"Cos'è?".

Glielo chiedo lo stesso, anche se so benissimo di cosa si tratta.

Ashton lo poggia sul bancone e me lo passa con le mani che gli tremano. 

"Lo trovai circa due anni fa. Ero nella biblioteca del campus, completamente ignaro che esistesse, finché infilai una mano nella tasca destra di questa felpa e me lo trovai tra le dita". 

"È finita" lo rileggo, mordendomi un labbro.

Ashton mi guarda ansioso.

"L'avrò letto un centinaio di volte ormai, ma non ho la minima idea di cosa significhi. Che cosa è finita?".

-Sempre tuo, Calum

My Space:

Non sono morta, giuro. Mi sono presa una piccola ... vacanza.

Prossimo aggiornamento: mercoledì!

-Sara

Always Yours, Calum // 5sos (4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora