Capitolo 11

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Appena Nathan riapre gli occhi capisce che si trova in ospedale, mi guarda come se fosse dispiaciuto. «C..cos'è successo?» mi chiede confuso appena risvegliatosi. «Non lo so Nathan, quando sono arrivata nel parco ho visto quel gomitolo di gente e appena capii che eri tu, mi sono precipitata; eri ricoperto di sangue.» si passa una mano sulla testa. «Non ricordo nulla..ricordo solo che c'era mio padre e..e poi il buio più totale.»

Ripenso alle sue parole "per me può anche morire", sarà stato sicuramente lui a picchiarlo a sangue, ma come si può picchiare il proprio figlio.

Nathan mi prende la mano e me la stringe. «So cosa stai pensando Amanda, ma se mio padre avesse fatto quello che tu pensi abbia fatto, avrà avuto sicuramente le sue buone ragioni.» scuoto la testa. «Non esistono ragioni per picchiare il proprio figlio.» sono fiera di avere la testa che ho. «Se uccidi una persona, vorresti picchiare tuo figlio.» rimango interdetta dalla sua confessione, così decido di chiederglielo. «Tua madre è morta dandoti alla luce?» gli chiedo, Nathan si volta dall'altra parte della stanza per non farsi guardare. «Sì, poi altri episodi riguardanti una bambino ribelle e cattivo.» cerco di motivarlo a parlarmi di se stesso. «Ti va di raccontarmi qualcosa?» Nathan scuote la testa e chiude gli occhi. «Magari dopo, ora voglio riposare ma, non sei costretta ad aspettare che io mi svegli, puoi andare..»

Non riesce nemmeno a terminare la frase in quanto si trovo sotto effetto di un particolare anestetizzante.
Vado fuori dalla sua stanza e chiamo mia madre.
«Pronto, mamma?» attendo la risposta di mia madre. «Figlia mia, dove sei?» la sento preoccupata. «Sono in ospedale ma non preoccuparti, non è per me, io sto bene; è per Nathan, appena so che sta bene torno a casa e ti spiego tutto; ora devo andare o disturberò gli altri pazienti, ti voglio bene, mamma.» so che capirà, è mia madre. «D'accordo, ti voglio anche io.»

Attacco la chiamata e vado a prendere un caffè in quelle macchinette per gli ospedali, poi con il mio caffè torno in camera di Nathan e mi siedo accanto a lui; lo guardo dormire, è bellissimo anche con tutta la faccia rotta.

Finisco di bere il mio caffè, accarezzo la mano di Nathan per fargli capire che io sono qui per lui e finisco per addormentarmi con la testa sulla sua mano; lo sento molto vicino a me.

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Prima di aprire gli occhi mi sento scuotere il braccio; é Nathan, lo guardo e sorrido. «Hey, la faccia rotta ti dona, hai charme.» ride e mi guarda, mi guarda e ride, non fa altro. «Allora, stai bene? Come ti senti?» lo guardo ancora preoccupata, «Sto bene ma, tu sei rimasta qui tutto il tempo?» gli sorrido con amore. «Certo, volevo assicurarmi che stessi bene e che fossi ancora vivo.» Nathan sospira e mi accorgo che sta guardando il vuoto. «Ti va di raccontarti un po'? Giuro che non lo dirò a nessuno.» Nathan fa sì con la testa e inizia a parlare.

«In pochi sanno la mia storia, soltanto il mio migliore amico, Adam e, ora tu; innanzitutto, ho ucciso mia madre mentre mi partoriva; quando ero all'asilo piangevo tutte le mattine come una femminuccia perché mio padre mi trattava una merda, le maestre lo chiamavano sempre da scuola per cercare di farmi smettere e ogni giorno era uno schiaffo in faccia in più del giorno prima, così sono praticamente cresciuto con George, il maggiordomo di casa mia e mia sorella maggiore, Alice, ormai lei è al college e non vive più con noi, sento la sua mancanza tutte le ore; all'elementari sono diventato il bambino ribelle dell'istituto, facevo scoppiare i fuochi d'artificio nel bagno, facevo il bullo con i più deboli, rubavo la merenda e facevo le mie prime risse, se potevano definirsi tali a quell'età, mi faceva rabbia vedere quei bambini che la mattina venivano a scuola con la loro mamma o il loro papà, a me toccava venire sempre con George e in limousine, è umiliante dopo un po'; alle medie ho perso la verginità, a soli 13 anni; andavo al letto con tutte le ragazze dell'istituto e il giorno dopo le umiliavo, imbrattavo le aule di qualsiasi cosa, giravo nei bagni con un coltellino nei pantaloni e poi è successo un dramma..» mi guarda preoccupato «sicura che vuoi sentire dell'altro?» prima faccio sì con la testa e subito dopo rispondo. «Sì, so che ora non sei più così.» gli dico cercando di rassicurarlo. «Il dramma più grande è che, ricordi Jeff Parker morto 3 anni per overdose?» rispondo di sì e lo lascio continuare. «Non è stata un'overdose, è caduto dal 4 piano di un palazzo con dell'ecstasy in corpo e il motivo per cui lo so, è perché io ero con lui, l'eroina gliel'ho venduta io, eravamo fatti, ci stavamo divertendo, fino a quando nessuno dei due si accorse della finestra aperta dietro Jeff e così..così cadde giù..cercai di ritirarlo dentro la stanza, lo afferrai per la giacca di jeans ma..la giacca rimase nella mia mano e Jeff..Jeff no, così spaventato andai da mio padre a chiedere aiuto, dopo aver chiamato il 911 ovviamente e fu lui a dirmi cosa fare, l'unica cosa era quella di non farne mai parola con nessuno e che ci avrebbe pensato lui..il peso che porto addosso, non ti immagini minimamente come mi sento ogni giorno, è colpa mia se Jeff è morto e mio padre è sempre presente per ricordarmelo.»

Non rispondo, non riesco a parlare dopo tutte queste rivelazioni; gli accarezzo la mano però, vorrei che capisse che non tutti lo odiano. «No, Nathan, non è assolutamente colpa tua; tua madre stava male già da tempo, i medici le avevano detto a cosa sarebbe andata incontro a farti nascere e lei è stata così coraggiosa da scegliere la tua vita invece che la sua, dovresti essere solo che orgoglioso di aver avuto un pilastro importante come lei nella tua vita; per la storia di Jeff invece, nemmeno in quel caso è colpa tua, eravate piccoli e stupidi, vi drogavate per sentirvi grandi, per provare l'ebbrezza di compiere un'azione proibita, la finestra dietro Jeff era aperta ed è successo solo un incidente, un terribile incidente; un ragazzo è scivolato ed è morto, si era calato una pasticca ed è scivolato a terra, non lo hai fatto cadere tu, non è colpa tua, Nathan anzi, hai anche cercato di salvarlo, non lo hai lasciato e questo ti fa onore, anche se il tentativo non è riuscito, puoi dire di averci provato; non colpevolizzarti più adesso.»

Continuo a stringergli la mano e dal suo occhio sinistro vedo cadere una lacrima, una lacrima di dolore; questo accaduto se lo porterà dentro per sempre.

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Accompagno Nathan a casa sua e troviamo un ragazzo con le braccia tutte tatuate come quelle di Nathan che lo sta aspettando sui gradini. «Adam, beviamo qualcosa?» dice Nathan guardando quel ragazzo, si allontana da me e si mette in spalla al suo amico, anzi, il suo migliore amico, se ricordo bene.p «Certamente, ubriachiamoci.» gli risponde.

Nathan e Adam entrano in casa sbattendo la porta di ingresso e lasciandomi senza neanche una parola.

«Beh..prego, Nathan.» me ne ritorno a casa mia che faccio più bella figura.

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