Capitolo sette

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Ashton é esattamente come se lo immaginava la Vanilla di qualche anno fa. Forse con un paio di riccioli in meno e qualche kilo in più.

Rigidamente seduta ad un'estremità del divano, gli lancio continue occhiate con la coda dell'occhio. Assomiglia vagamente alla versione adolescenziale che avevo idolatrato nel mio periodo pop-rock, ma allo stesso tempo sembra essere tutt'altra persona.

Certo, la risata cristallina e l'umorismo piccante sono ancora presenti, però c'è qualcosa di sbagliato. È come se lo avessero ritagliato da una rivista di giornale patinata e appiccicato a caso in una pagina di un quotidiano in bianco e nero.

"Che cosa stai fissando?" Mi chiede di punto in bianco, nascondendo una certa diffidenza nella piega di un sorriso.

Io stringo i palmi delle mani attorno alle rotule e faccio spallucce, fingendomi tranquilla.

"I tuoi capelli" rispondo brevemente, annuendo in direzione della sua chioma rosso sangue. Mi domando che effetto abbia avuto il suo nuovo look sul fandom e come l'abbiano presa.

Se seguissi ancora i loro svolgimenti con tanta passione, probabilmente ne sarei rimasta sorpresa. Piacevolmente? Non saprei ancora dirlo con sicurezza, ma sarebbe stata di certo una notizia inaspettata.

"Ti piacciono?" Si passa una mano sul ciuffo e ridacchia, voltandosi in direzione di Calum che, al suo fianco, pizzica le corde della sua vecchissima chitarra acustica. È la stessa che compare in tutti i dietro le quinte, quella che utilizza sempre per comporre. Al ricordo mi sale un brivido lungo la schiena, che sopprimo con un colpo di tosse. Ogni volta che lo guardo, è come se una parte della mia fantasia si fondesse con la realtà.

"A me piacciono" borbotta Calum, con lo sguardo ancora basso.

"Il colore ti si addice. Molto intenso" aggiungo, senza lasciarmi scappare un parere troppo definito. Non posso dire che mi piacciano, perché preferisco mille volte il suo biondo scuro naturale.

Però non mi considero capace di guardarlo negli occhi e dirgli che non mi convince. Soprattutto perché ne sembra a dir poco entusiasta. Ashton alza un pollice in mia direzione e si lancia in una lunghissima spiegazione, non affatto richiesta, sul motivo di quel cambiamento repentino.

Nel bel mezzo di uno sproloquio appassionato sul rapporto tra il suo bisogno di cambiare e il contrapposto sentimento di insicurezza, che lo spingeva a rinunciare a quella mezza pazzia, Calum alza gli occhi dallo strumento e li sposta su di me.

Ci scambiamo uno sguardo eloquente, poi piega le labbra carnose in un mezzo sorriso e interrompe Ashton piazzandogli una mano sulla spalla destra.

"Ti va qualcosa da bere?".

Per un momento trattengo il fiato, timorosa che Ashton se la prenda per il disinteresse mostrato, piuttosto spudoratamente, nei confronti della sua a dir poco insidiosa vicenda emotiva.

Invece, mi rilasso non appena quello si lascia andare comodamente contro lo schienale e si limita a scuotere la testa. E se si è offeso dell'interruzione, è bravissimo a non lasciarcelo intendere.

"Io però ne ho. Mi prendi un tè al limone?".

"Amico è casa tua, puoi prendertelo da solo il tè!" risponde piccato.

Io prendo un respiro profondo e mi tiro le dita delle mani, per reprimere l'impulso di scattare in piedi, più che desiderosa di togliermi di mezzo e lasciarli parlare delle loro cose. È meglio essere invisibili in circostanze simili.

Il problema è che seppure me la cavo modestamente nell'inventare bugie, faccio davvero schifo a tenere segrete certe informazioni. Sono due caratteristiche che mi appartengono e che, purtroppo, fanno a cazzotti l'una con l'altra.

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