Capitolo dieci

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Calum arriva dopo una lunghissima mezz'ora, scandita dai guaiti rauchi di Duke e dai miei profondi sospiri, carichi di una frustrazione da far torcere lo stomaco.

La porta d'ingresso trema quando infila le chiavi nella serratura e si apre scricchiolando. Non appena vedo la sua figura, ampia quasi quanto tutto il varco, scatto in piedi. Duke allunga le zampe in sua direzione e ulula un paio di volte, svegliando di sorpresa Petunia al suo fianco.

"Ciao" borbotto, pizzicandomi i dorsi delle mani con le unghie. Lui mi squadra dalla testa ai piedi, riservandomi uno sguardo tanto freddo quanto veloce, e attraversa il soggiorno in tre falcate. Ha ancora le scarpe ai piedi, un paio di sneakers nere di tela, e gli occhiali da sole impigliati tra i capelli.

Lui mi si ferma accanto e si china in avanti per accarezzare il dorso del cagnolino steso sui cuscini.

"Come è successo?" Chiede, voltando il capo repentinamente per fissarmi. È molto vicino, tanto che sento il vago odore del suo dopobarba e il calore che emette la sua pelle, velata di sudore.

Mi ritraggo lentamente, con gli occhi spalancati e immersi nei suoi. Ha sicuramente notato anche lui l'assenza di spazio, però non fa cenno di volersi spostare.

"Te l'ho detto, era in cucina e ha fatto cadere una pila di bicchieri. Erano poggiati su una confezione di bottiglie d'acqua. Non so chi mai potrebbe metterli in un posto del genere".

"Avresti dovuto controllare che fosse tutto apposto. Non ti dico che dovevi mettere tutto in ordine, ma almeno assicurarti che fosse sicuro!" rimprovera, trattenendosi a stento dall'alzare vertiginosamente il tono di voce. Le gote gli si riempiono di colore e sul collo riesco chiaramente a distinguere due grosse vene. Per qualche istante temo gli possano scoppiare a causa della pressione.

Non pensavo fosse il tipo di persona che si adira così facilmente, ma come posso biasimarlo? Ho fatto esattamente ciò che non dovevo.

"Lo so" mormoro, sospirando profondamente e puntando lo sguardo in avanti, verso la parete dove poggia la sua vecchia chitarra acustica. Qualcosa di quell'oggetto mi riporta ad una dimensione di conforto, quindi mi ci aggrappo come fosse uno scoglio. Chiudo gli occhi per qualche istante, poi mi lecco le labbra secche e torno a guardarlo. Dalla posizione in cui è ora, vedo chiaramente i muscoli della schiena delineati dalla maglia aderente.

Vorrei dirgli un'infinità di cose, ma preferisco rimanere in silenzio. Si tratta di quel tipo di quiete che ti consuma dentro, alla quale vuoi solo porre fine, quindi alla fine non resisto più.

"Oh" sussulto, accostandomi una mano alle labbra. "Ti sei tinto" commento dopo qualche istante di silenzio. I suoi ricci sembrano essere spariti, rimpiazzati da ciocche cortissime e bionde. Non è esattamente platino, perché il colore ha un forte sottotono aranciato, tipico della decolorazione, ma si capisce che era quella l'intenzione originaria. Calum però sospira pesantemente e si limita ad annuire. Non dice nulla e si tira su, in modo da sfiorarmi il braccio con il suo. Dato che la mia vita gli arriva all'altezza dell'avambraccio, quando mi fa cenno di spostarmi, mi rifila una gomitata su un fianco. Non si scusa, non che mi aspettassi nulla del genere.

"Muoviti, lo porto dal veterinario" borbotta invece, piegandosi leggermente sulle ginocchia e scacciandomi via con un altro gesto della mano destra.

"Tu chiama Luke, digli di venire a prendere Petunia. Basta che premi il numero due sulle chiamate veloci".

Il suo tono è particolarmente risoluto, quasi rude. Mi mordo un labbro e annuisco, guardandolo con il fiato incastrato in gola mentre mi porge il suo cellulare. Lo afferro con le mani che mi tremano, ma le stringo insieme e fingo che lui non se ne sia accorto.

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