I

3.4K 254 254
                                    

Levi

Non ricordavo quand'era avvenuto il mio primo incontro con Eren. Probabilmente in università, ad una lezione alla quale nessuno dei due stava prestando particolare attenzione. Ricordavo però che subito mi aveva sorriso e ricordavo di non essere mai rimasto tanto incantato di fronte a qualcuno.

Ricordavo che avevamo stretto amicizia immediatamente, che era entrato a far parte della mia vita da un giorno all'altro. Ricordavo come mi ero sentito stranamemte bene in sua compagnia, io che ero un asociale di natura e che, a parte Erwin e Hanji, non avevo mai interagito troppo con le altre persone.

Ricordavo che ogni cosa, dopo Eren, era cambiata. Il mio cuore si era scongelato, accogliendo per la prima volta l'affetto profondo per qualcuno. Ricordavo come non ero stato più solo, sia in facoltà che fuori, perché studiavamo, pranzavamo, uscivamo insieme. Si era instaurato un legame particolare tra noi, che ci aveva fatti diventare l'uno l'ombra dell'altro.

Ricordavo anche la prima volta che mi ero accorto di provare di più dell'affetto nei suoi confronti. Quella consapevolezza era arrivata un pomeriggio di aprile, in primavera, quando Eren, durante una nostra passeggiata al parco, si era chinato e aveva raccolto un geranio rosso. Aveva detto che era un bel colore, che gli ricordava l'amore.

Mi aveva poi chiesto se c'era una persona di cui fossi mai stato innamorato. E fu in quel momento che qualcosa scattò nella mia testa, o meglio nel mio cuore. Mi venne naturale associare l'amore al viso di Eren, ai suoi begli occhi, al suo dolce sorriso. Non sapevo come, né quando, ma avevo iniziato a provare per lui qualcosa che andava ben oltre una semplice amicizia.

Gli avevo risposto di no, che non avevo mai amato nessuno, contraddicendo totalmente quello che avevo appena scoperto stesse accadendo dentro di me. Eren, invece, mi aveva detto che lui di qualcuno era stato innamorato. Si chiamava Mikasa, avevano sedici anni all'epoca, ed erano stati migliori amici prima e fidanzati poi. Si erano dovuti lasciare perché la famiglia di lei si era trasferita lontano per lavoro e la relazione non aveva più funzionato.

Ricordavo come da quel giorno i miei sentimenti avevano cominciato a crescere sempre più, come Eren divenne il mio centro, il mio sole, la mia felicità. Ricordavo il tepore che mi avvolgeva il cuore in sua compagnia, le farfalle nello stomaco, le mani sudate. Passavo ore intere a fissarlo, quando lui era distratto o cercava invano di apprendere qualcosa da un enorme libro: mi piaceva perdermi in ogni suo più piccolo particolare, imprimerlo bene nella mente per poi poter fantasticarci sopra quando non fossi stato in sua compagnia.

Ma tutto ciò aveva cominciato a distruggermi dall'interno, perché amavo così tanto e così incondizionatamente che ero finito con l'ammalarmi.

E ora mi trovavo nel mio bagno, le dita artigliate ai bordi del lavandino, lo specchio che rifletteva la mia immagine pallida e stanca, le labbra macchiate di sangue e i petali rossi che avevo vomitato sulla ceramica bianca.

Sapevo perfettamente di cosa si trattava: Hanahaki, una malattia tanto rara quanto fatale. Ne avevo sentito parlare qualche volta, ma non avevo mai pensato potesse accadere una cosa simile a me.

L'insorgere del morbo era da imputare ad un caso di amore non corrisposto: i fiori mettono radici nei polmoni della persona colpita, crescendo sempre più col passare del tempo. L'unica cura esistente era che l'amore venisse ricambiato. Se ciò non avveniva, i fiori crescevano fino a compromettere l'efficienza delle vie respiratorie portando alla morte la persona infetta.

Si poteva, però, ricorrere alla chirurgia per rimuovere l'infezione: ma, insieme ai fiori, sarebbe sparito anche qualsivoglia sentimento e la capacità di provarne ancora.

Hanahaki Disease || EreriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora