10 ANNI PRIMA...

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Questo posto non mi piace.
Puzza.
C'è odore di ospedale e di morte. E io so che odore ha la morte, ci sono andato davvero vicino l'ultima volta. Forse è per quello che ho deciso di farmi chiudere qui dentro, ma più passano i giorni più mi rendo conto che non serve a nulla. L'ombra della morte mi tende la mano mostrando il ticchettio di un orologio. Non mi resta molto tempo, già lo so. Devo solo sistemare una cosa, solo una e poi sarò finalmente libero di lasciarmi andare e smettere di lottare per una vita che non è fatta per me.
So già cosa devo fare.
Mi chiedo se un mese fa ci ho provato davvero o per finta... inconsciamente credo di aver voluto solo attirare la sua attenzione, nulla di più... e naturalmente è stato l'ennesimo buco nell'acqua. Almeno non potranno dire un domani che non le ho provate tutte per tenere insieme il mio matrimonio.
Non so neanche perché ci ho provato, ma allora non potevo farlo per davvero, non senza aver prima concluso quello che dovevo.
Non potevo lasciare il mio piccolo angelo senza una spiegazione.
Non riesco a fare a meno di trascinarla nei più profondi e oscuri meandri della mia anima.
Mentre lei, con un solo sguardo, mi dà pace, io riesco solo a regalarle l'inferno.
Fa troppo caldo al sole, sento la pelle che comincia a bruciare, ma non riesco a togliere gli occhi da quel muretto. In fondo non è così alto e questa panchina non è poi così comoda.
Questa mattina, durante la seduta, il terapista ha cercato di capire la causa del mio malessere facendomi parlare della mia vita. Non è servito a nulla se non a capire che non mi restano molte soluzioni al mondo.
Non sento più nulla. Non provo più nulla.
Una roccia sterile abbandonata nel deserto, ecco come mi sento. È come se non riuscissi più a provare emozioni o sensazioni per niente e nessuno.
Colpa, sento solo un fortissimo senso di colpa. L'ho trascinata fuori da un inferno per buttarla dentro un altro. Non posso fare a meno di lei in questa vita e se vado avanti così rischia di seguirmi anche nella morte. Non posso. Non voglio. So quello che sto facendo, al contrario di quello che gli psicologi vogliono farmi credere. Non sono uno stupido e odio chi vuole farmi sentire tale.


Mi sono stancato di questo posto.

A volte mi stupisco di come ci possano essere giorni che agli occhi della gente io sia completamente trasparente, altri invece di come solo un mio sguardo possa attirare le masse.
Oggi, per fortuna, non è uno di quei giorni.
Non ho sprecato neanche una telefonata per mia moglie. Che io abbia deciso di andarmene da quel centro non le interessa minimamente, quindi perché sprecarmi a sentire la sua odiosa voce?
Odio, ecco cosa provo per lei. L'ho amata dal più profondo di me stesso, come un eroe romantico per lei avrei fatto di tutto. Mi sono messo contro chiunque abbia provato a separarci o a dirmi che era sbagliato, ho litigato persino con Anne e per cosa? Cosa? Lei è come un bel vaso di cristallo, bella fuori, completamente vuota dentro. Quello che conta è quanto appari, quanti soldi puoi fare, quanto lontano puoi andare. L'eccesso è la Bibbia della sua esistenza e quando io, stanco, la supplicavo di fermarci, lei mi spingeva sempre oltre. Non do tutta la colpa a lei: mi sono messo io in questa situazione, ma un tempo credevo che le sue follie mi davano la sensazione di essere vivo. In realtà, senza accorgermene, mi hanno solo tolto linfa vitale, lasciando ora soltanto questo fragile corpo stanco di vivere.


Mentre compilo il foglio per la spedizione della mia chitarra do precise indicazioni sui tempi e sul luogo per recapitarlo. So che è inutile mandarle tutto a casa di Andrew. La conosco. Scapperà appena ne avrà l'occasione e lo farà in silenzio, senza che nessuno se ne accorga. Non si farà trovare, anni di soprusi del padre le hanno fatto imparare come svanire nel nulla per non finire in ospedale per l'ennesima volta.
Mi chiedo se lotterà o se si arrenderà. Mentre la trascino a fondo con me, so che Andrew è l'unica persona al mondo che sarebbe in grado di tenerla qui, con i piedi ben saldi a terra. Ma senza di lui, non so... non credo... Spero che questa chitarra, un giorno, prima o poi le ricordi cosa vuol dire vivere.
Non ho le forze di capire quanta vita le ho succhiato, solo standomi vicino mi ha fatto stare bene nella sua completa purezza e innocenza. Abbiamo passato ore in silenzio nella stessa stanza solo a fissarci o a riposare uno accanto all'altro. E io l'ho amata, dio santo quanto l'ho amata, nella maniera più pura e disperata possibile. Perché nella sua giovane e innocente età solo così la posso amare. Non è il mio tempo per lei, non lo è mai stato.
Un giorno forse capirà, fino ad allora posso solo sperare che non si faccia del male, lei sa cosa vuol dire sentire dolore e sperare di morire piuttosto che sentirlo di nuovo. Ma in questi ultimi anni un po' di pace l'ha trovata, spero sia sufficiente a tenerla qui.
Vorrei davvero poterla aiutare, vorrei davvero poterla rassicurare, darle la forza necessaria per amare il prossimo, ma come faccio a insegnarle qualcosa che nemmeno io conosco? Come faccio a insegnarle come stare con gli altri quando io non sopporto nemmeno me stesso?
Sono un debole, amo troppo chi mi sta accanto, ma perché riesco a sentire solo le loro sofferenze e non anche le loro gioie?
Mentre consegno il pacco al ragazzo della posta, so che si sta chiedendo se sono io oppure no. Un tempo gli avrei fatto un sorriso e detto qualcosa che lo avrebbe reso felice, ora riesco solo a tirare fuori il portafoglio, pagare e andarmene senza dire nulla. Non mi importa di niente e nessuno.
Voglio solo andarmene.
Fuori piove a dirotto, il tempo perfetto per una passeggiata. Spero che per domani schiarisca, Anne voleva fare quella grigliata da un sacco di tempo e per la prima volta non sarà costretta a fare finti sorrisi a mia moglie.
I capelli mi si attaccano al viso per il peso dell'acqua mentre cammino sotto la pioggia. Senza accorgermene sorrido al ricordo di Anne, quando per sbaglio mi fece la tinta di un colore rosso fuoco invece che schiarirmi i capelli. Quando mi sciacquò la testa non emise un suono, continuava solo a fissarmi a bocca aperta e sconvolta. Dopo essermi guardato allo specchio e averle fatto un sorriso, cominciò a ridere così tanto da lacrimare. Non l'avevo mai vista così spensierata e rilassata come in quel momento. Questo episodio mi caricò le batterie per molto tempo.
Ma gli incubi, anche in quegli anni non la lasciavano in pace, a volte ho l'impressione di sentirla ancora urlare nel sonno. In quante occasioni sono dovuto correre in camera da lei, quante volte l'ho trovata rannicchiata a terra con le ginocchia al petto che piangeva, quante volte nel provare a svegliarla urlava ancora più forte perché non mi riconosceva.
Non riuscivo mai a dirle nulla che potesse farla stare meglio, mi limitavo solo a starle accanto e a stingerla forte a me. Ogni volta che correvo da lei e c'era anche Andrew, rimanevo seduto sulla porta a osservare come riuscisse a calmarla con qualche parola dolce. Non ho mai saputo che cosa dirle, ma sapevo anche che quando stava con me non avevo bisogno di farlo, sapeva che capivo il suo disagio e non pretendeva null'altro tranne che qualcuno le tenesse compagnia nel suo buco nero. Lei, madida di sudore, seduta in un angolo della stanza con le gambe al petto e io appoggiato al muro di fronte nella stessa posizione. Immobili, a guardarci nell'oscurità della notte.
In un certo qual modo le persone come noi è come se la luce non la riuscissero mai a vedere. A volte credo che la sofferenza sia parte del mio essere e che totalmente il resto sia del tutto estraneo alla mia anima. Ma poi la guardo sorridere per un attimo, le sto accanto un po' e comincio a credere che le cose possano essere diverse anche per me. Tutto questo fino alla seguente crisi depressiva.
Ma sono stanco di tirare avanti di giorno in giorno, stanco di trascinarla sempre più giù con me. È così giovane, può farcela a venirne fuori, ha tutta una vita davanti a lei. Io invece, fin da quando avevo nove anni capii che in questo mondo non esisteva un posto per me e che non ci sarebbe stata pace per chi amava le persone nel modo ossessivamente disperato come il mio. Perché se non ricevi lo stesso tipo di amore in cambio, tutto quello che viene dagli altri sembra solo un flebile palliativo. Per quanto io abbia provato, per tutta la mia vita, ad accettare la totale insoddisfazione e solitudine del mio essere, non ci sono mai riuscito e ora sono così stanco di vivere una vita a metà.


Sotto la doccia ho provato a grattarmi via questo odore di morte dalla pelle, ma sembra essersi attaccato con ogni sua fibra al mio corpo, preannunciando semplicemente quello che sarà il mio destino. Guardo il telefono e decido di comporre il numero per chiamarla. So che è molto rischioso farlo: se dovesse rispondere potrei cambiare idea in un istante e domani a quest'ora potrei trovarmi a bere una birra in compagnia dei ragazzi sotto il suo sguardo triste, perché ancora una volta percepisce quale ombra mi sta seguendo. Ma come al solito non resisto alla tentazione e compongo il numero, sempre più conscio del fatto che, se dovessi decidere di cambiare idea per il momento, la prossima volta che starò per fare una cosa simile, accanto a me potrebbe esserci lei, pronta a fare la stessa identica cosa.

So già che non mi odierà per averla lasciata qui, so che mi odierà per non averla portata con me in questo nuovo viaggio. Si sentirà abbandonata anche da me. Ed ecco che il senso di colpa mi schiaccia a terra facendomi mancare ancora di più il respiro.
"Forse ho di meglio da fare, se non resisti, lasciami un messaggio" mi dice la sua voce alla segreteria. Quando riattacco il telefono sorrido al ricordo di quanti messaggi ha provato a registrare, prima di farsi andare bene questo. Ci obbligava tutti al silenzio sul bus mentre provava e riprovava. La guardavo ostinarsi a voler assomigliare sempre più a una donna. Nei suoi occhi leggevi l'innocenza di un bambina e la sofferenza di una vita di soprusi e dolori.


Mi infilo il mio paio di jeans preferiti e la maglietta nera che ho comprato con Anne settimana scorsa. Uscito, o meglio, scappato dal centro, finalmente sono a casa da solo e il mio piccolo angelo si sta prendendo cura di me, malgrado i pensieri e la confusione dovuta al suo trasloco con Andrew. Settimana scorsa abbiamo pensato ai miei nuovi vestiti, questa alle scarpe, la prossima ha detto che tornerà a mettere un po' d'ordine e a buttare un po' di cose vecchie, il che significa"Tutto quello che fa pensare a tua moglie finisce nel cassonetto qui fuori per la gioia di tutti i presenti".

Apro la porta-finestra della camera e mi metto sul balcone a fumare un sigaro. Ha smesso di piovere e un leggero vento si sta portando via le nuvole. Domani sarà una bella giornata per tutti.

Mi giro e decido di prendere carta e penna. Non mi sento in colpa solo per Anne, qui non lascio solo lei e comincio a scrivere. Non so cosa voglia essere, se un testamento o un ultimo disperato tentativo di spiegarmi. So solo che le parole prendono forma su questo vecchio foglio di carta stropicciato e improvvisamente tutto acquista finalmente un senso.

Estraggo un po' di quella polverina bianca che da tempo sembra essere diventato il mio unico modo di evadere da questo mondo e dopo, averla accuratamente sistemata sul tavolo davanti allo specchio della camera, ispiro profondamente senza lasciare nemmeno il più piccolo granello. La testa mi comincia a girare e io mi sento sempre più leggero. Rifaccio il suo numero e parte di nuovo la segreteria. Ha la voce di un angelo. Comincio ad avere caldo, mi appoggio al tavolo e mi guardo le mani: da quando la fede ha un colore tanto acceso? Non la voglio, mi brucia la pelle, la devo togliere, mi fa male.

Alzo lo sguardo mentre riattacco il telefono e la vedo lì, riflessa nello specchio che mi guarda. Indossa un leggero vestito bianco che lascia intravedere le curve di una giovane donna. In mano tiene una rosa bianca e mi sorride. Ha dei bellissimi occhi verdi profondi in grado di leggerti l'anima.
"Per questo non mi rispondevi, stavi venendo da me" le chiedo prendendo il foglio con le mie ultime parole dal tavolo e cadendo a terra vicino alla mia scatola di sigari.
"Tornerò sempre da te" mi sussurra inginocchiandosi accanto a me.
"Non dovresti essere qui, devi andare via" le dico accarezzandole la mano.
"Non posso andarmene via, sono parte di te. Sarò sempre con te" mi risponde sfiorandomi il viso.
La fisso beato mentre, leggero, le do un piccolo bacio a fior di labbra. Sento scorrermi dentro qualcosa che avevo dimenticato da tempo.
Con la mano libera sfioro la fredda canna del fucile che mi giace accanto, mi guardo per un attimo attorno prima di tornare a fissarla. Una folata di vento le fa cadere una ciocca sul viso e io con delicatezza gliela sposto, facendole un sorriso.
"Ci vediamo presto" mi sussurra, prima di svanire in un raggio di sole penetrato dalla finestra.
"A presto" sussurro e chiudendo gli occhi per mantenere ancora vivida nella mia mente l'immagine del suo viso, premo il grilletto.

Take a walk outside your mind
Tell me how it feels to be
The one who turns the knife inside of me
Take a look and you will find
There's nothing there

(Hole In My Soul - ­ Aerosmith)

BISBIGLIANDO - Sussurri di MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora